“Nico è stata una donna-contro, complessa e contraddittoria e ho scelto di raccontare i suoi ultimi due anni perché in tale fase che ha raggiunto una sorta di equilibrio nel caos connaturato alla propria esistenza”. ha spiegato la regista romana Susanna Nicchiarelli
Tra Nico e la sua “Icon”, Susanna Nicchiarelli ha scelto Christa Päffgen, come da anagrafe della leggendaria sacerdotessa delle tenebre scomparsa 29 anni fa. Non a caso il suo biopic s’intitola Nico, 1988, anno della sua fine ma anche della vigilia di una nuova era per la sua Berlino, per l’Europa tutta. Film d’apertura in concorso della sezione Orizzonti, il terzo lungometraggio della regista romana è un viaggio nell’anima e nella musica di una donna complessa, finalmente “liberata” dal peso di una bellezza assoluta.
“Nico è stata una donna-contro, complessa e contraddittoria e ho scelto di raccontare i suoi ultimi due anni perché in tale fase che ha raggiunto una sorta di equilibrio nel caos connaturato alla propria esistenza”. Fascino e carisma indiscussi, per quanto appesantita dagli eccessi, indurita dall’eroina, dilaniata dalla solitudine che comunque le apparteneva, la Nico degli ultimi anni non aveva paure di sentenziare “Io non ero felice quando ero bella” , ed è proprio questo l’aspetto che ha attratto maggiormente Nicchiarelli, consapevole che Christa “Nico” Päffgen è stata una delle donne più belle e ironiche del suo tempo, icona magnetica di un’epoca in mutamento, modella e musa di Andy Warhol, cantante nell’album capolavoro dei Velvet Underground, “sorella” di Jim Morrison, compagna ed amante degli uomini più affascinanti e di successo del tempo come Alain Delon da cui ha avuto l’unico figlio Ari, collaboratore/testimone prezioso per il film.
La modella alta, bionda e algida si era trasformata in una creatura notturna, musicista off, portatrice di una voce profonda e dalle sonorità lunari, personaggio scomodo, dolente, impenetrabile. La cineasta conosceva Nico essenzialmente “dai Velvet Underground e dalla partecipazione a La dolce vita di Fellini” ma è la scoperta degli ultimi anni, la carriera da solista, il suo essere fuori dalle mode dell’epoca (sintomatica la canzone Big in Japan risuonante tormentone degli 80s) il dolore di una madre per il figlio che voleva di nuovo al proprio fianco, ad averla spinta nella direzione di una pellicola più rielaborativa che mimetica al personaggio raccontato. A dare volto e corpo con rara intensità – e bravura specie nell’intepretazione di tutte le canzoni presenti nel film – è l’attrice danese Trine Dryholm, già musa di Thomas Vinterberg, performer a tutto tondo su scala mondiale. Seguendo il proprio metodo ma anche le indicazioni precise della regista che l’ha voluta in prima opzione su chiunque, Dryholm ha scelto la via di una interpretazione “sensoriale” di Nico, osservandola fisicamente ma introiettandola attraverso la propria immaginazione, dunque allontanandosi dalla restituzione mimetica. “Ho tentato di entrare in lei attraverso le fessure che ho trovato di collegamento fra noi, benché io sia all’opposto della personalità di Christa/Nico. Ed è stato soprattutto cantando la sua musica che mi sono sentita connessa a questa donna e artista straordinaria, un onore e una sfida incredibili”. D’altra parte in un film che aspira alla libertà/liberazione dalle convenzioni, era coerente che regista e attrice si lasciassero più guidare dall’ispirazione profonda dell’arte di questa donna che non farsi (co)stringere all’interno di imitazioni, date e cifre. Per questo, a parte il mitico concerto illegale avvenuto di Praga, molti elementi e personaggi mostrati sono stati leggermente modificati a fini drammaturgici, “d’altra parte è un film di finzione non un documentario” osserva Nicchiarelli. La Billie Holiday della Punk generation moriva a Ibiza nel luglio del 1988 per un incidente in bicicletta, il film a lei ispirato e dedicato uscirà nelle sale italiane per I Wonder Pictures il 12 ottobre.