Lo scorso 19 aprile il professor Giuseppe Pezzotti è stato il primo italiano (e straniero occidentale) a vincere il premio alla ricerca del ministero giapponese (MEXT, Ministry of Education, Culture, Sports, Science and Technology), per la sua invenzione del Nano-scale Stress Microscope, un microscopio elettronico capace di recepire e mappare lo stato di stress dei materiali sulla scala del singolo nanometro. “Ritrovarmi a cantare l’inno nazionale giapponese sotto la bandiera del Sol Levante e con un riconoscimento così importante del governo giapponese tra le mani, mi ha creato non poche perplessità sulla mia identità, una specie di crisi d’identità alla Vitangelo Moscarda nell’ ‘Uno, nessuno e centomila’ di Pirandello’, sorride il professore di origine romana.
Pezzotti è arrivato la prima volta in Giappone nel 1987, ad Osaka: “Dopo tanta teoria studiata alla Sapienza su atomi e molecole, entità cosi ben definite nei libri di testo, ma negli anni Ottanta non ancora osservabili, avevo bisogno di prove sperimentali per continuare a credere nei miei studi”, ricorda. In Giappone, allora, erano appena stati sviluppati i microscopi elettronici più potenti del mondo, con risoluzione atomica. “Decisi così, per pura intuizione, che quella sarebbe stata la mia strada per un dottorato di ricerca”.
Da allora in poi tutto è successo naturalmente, dall’assimilazione della lingua giapponese e il conseguimento di tre dottorati di ricerca, fino a un ordinariato molto precoce e, ora, alla vicepresidenza di una prestigiosa università statale giapponese. Pezzotti, infatti, professore ordinario di Fisica dei materiali ceramici, dallo scorso aprile è vice rettore del Kyoto Institute of Tecnhology. Ed è il primo italiano a ricoprire questa carica.
Dopo 30 anni passati in Giappone, e 20 nel KIT le differenze rispetto all’Italia si fanno sentire. “L’Italia è il Paese della genialità, ma anche della sregolatezza. Il Giappone è un Paese in cui qualsiasi evento può essere razionalizzato, ridotto a un algoritmo e quindi gestito, non importa quanto complesso esso possa essere. È chiaro – continua il professore – che il mondo ha bisogno di entrambi i tipi di approccio”.
Facendo un paragone con la fisica, “i Paesi occidentali sono fortemente entropici, come un solido esposto ad elevata temperatura con atomi che vibrano disordinatamente e effettuano continui salti diffusionali. Il Giappone invece è un solido esposto a una temperatura vicina allo zero Kelvin, i cui atomi si muovono solo il necessario e il disordine è minimo”. In Occidente, insomma, la gente sbaglia di più ma, grazie alla sua più alta attivazione, produce anche invenzioni che portano al progresso.
E il Giappone è un paese in forte evoluzione. “È sorprendente quanto rapidamente il Paese si stia evolvendo verso una società sempre più socialmente giusta e internazionale. Qui c’è lavoro per tutti, ma la società giapponese associa alla carriera accademica un valore più grande di quello che assegna alla reale abilità dell’individuo. Quindi, il problema non è trovare un lavoro ma il livello del lavoro che la società ti consente di fare”. Un esempio? Il professor Pezzotti cita una fonte diretta: “Mio figlio ha sostenuto l’esame di ammissione e l’intervista orale per entrare all’asilo. Come vede – continua – qui non s’improvvisa nulla”.
Il rapporto spirituale con l’Italia è contrastato, anche se Pezzotti non ha mai abbandonato la sua nazionalità per prendere quella giapponese. “In altre parole, il mio dna spirituale è rimasto completamente italiano anche se la sua parte epigenetica è totalmente, e irreversibilmente, cambiata per adattarsi all’ambiente giapponese in cui ho vissuto più della metà della mia vita. Spesso penso di aver vissuto una vita parallela – continua – che non doveva essere la mia, ma che ho in qualche modo scoperto contro la volontà del fato”.
Ormai da decenni, il professore cerca di aiutare giovani italiani talentuosi a trovare la loro strada nella scienza. “Ne ho avuti tanti qui a Kyoto, e tanti hanno trovato un futuro pieno di soddisfazioni. Spero che un giorno aiutino l’Italia più di quanto non sia riuscito a fare io”, commenta. No, il problema italiano a livello accademico non è solo di fondi: “Penso che sia un problema di fiducia nella istituzioni, e nel riconoscimento del livello e del ruolo dei propri leader. Non è facile convincere gli italiani a fare cose in cui non credono”. Tornare? “Non credo – conclude il professor Pezzotti – E poi a fare che? Mi dicono che la mia generazione è già stata rottamata, me lo conferma anche lei?”.