Davanti agli investigatori ha raccontato un’altra versione di quanto accaduto nella notte tra martedì e mercoledì al Tiburtino III, nella periferia di Roma. Lui che – stando al racconto dei residenti – ha dato origine a tutto e, allo stesso tempo, alla fine ha avuto la peggio. Nonostante i trenta giorni di prognosi per la coltellata alla schiena ricevuta, l’eritreo quarantenne ferito nel tentativo di assalto al presidio umanitario della Croce Rossa in via del Frantoio, ha parlato subito con l’aiuto di un interprete. “Non ho lanciato sassi contro quei bambini”, ha spiegato. Per poi aggiungere di aver avuto paura, ma di non nutrire rancore: “Non voglio vendetta”.
Spunta anche un testimone che a Sky Tg24 ha raccontato come sarebbe andata mercoledì notte davanti ai cancelli del centro: “È passata la signora davanti al centro e ha chiesto all’uomo una sigaretta. Era molto arrabbiata, lo ha seguito e il ragazzo di 12 anni che era con lei gli ha ficcato un pezzo di ferro nella schiena”. A quel punto, racconta l’uomo, “gli eritrei hanno chiuso il cancello aspettando l’arrivo dei carabinieri. Questo sequestro non esiste“.
È una ricostruzione diametralmente opposta a quella raccontata da molti abitanti del quartiere e in particolare da Pamela, la quarantenne con alle spalle problemi di droga e alcol, che per prima è andata a cercare il profugo dopo essere stata avvisata dai nipotini che – è la sua versione dei fatti – “stavano passeggiando con un bimbo di un anno e mezzo, quando l’eritreo ha lanciato contro di loro dei sassi“. La miccia che ha innescato una notte di follia. Bastoni, mazze, un sequestro – dice la donna, ma smentiscono carabinieri e Croce Rossa – e quella puncicata all’altezza del rene. Forse, dopo la testimonianza l’ipotesi al vaglio degli inquirenti, da uno dei ragazzini. E poi l’eritreo ferito, il caos davanti al centro di accoglienza dove alloggiano un’ottantina di persone. E alcuni abitanti della zona che, a ilfattoquotidiano.it, mercoledì hanno lasciato intendere che potrebbe non essere finita, che la struttura “deve chiudere” e gli ospiti “devono andarsene”.
Per questo, dall’assedio di mercoledì notte, la polizia non è più andata via e controlla l’ingresso del presidio umanitario. La tensione è alta nel quartiere dopo gli scontri dell’altra notte, ultima fiammata di un’intolleranza che va avanti da mesi. Almeno da giugno, quando CasaPound manifestò al Tiburtino III per la presenza degli immigrati. E infatti la Croce Rossa Roma lo dice chiaro e tondo. A parlare è la presidentessa Debora Diodati: “Voglio ringraziare davvero le forze dell’ordine per il lavoro che stanno facendo in queste ore. Trovo però incredibile che ci sia una politica che alimenta tensioni sociali e che fa campagne anti immigrazione via social network. Noi come molti altri siamo sul campo e facciamo la nostra parte in un contesto in cui quotidianamente si cerca di coniugare accoglienza con legalità e l’inclusione con le numerose difficoltà in cui si vive nelle nostra città e in particolare nelle periferie”.
Inclusione che al Tiburtino III non c’è, ad ascoltare cosa ne pensava mercoledì, a caldo, il quartiere: “Un centro come quello di cui ci occupiamo in un quartiere come il Tiburtino ha senso se si crea un processo virtuoso di convivenza tra le 80 persone ospitate e la popolazione. Una direzione su cui siamo impegnati da sempre – aggiunge Diodati – Se dobbiamo, invece, vivere in uno stato d’assedio non ha senso. Possiamo chiudere il centro anche oggi. Sarebbe una sconfitta per tutti che mi auguro si voglia scongiurare”.