I periti chiudono il caso sul decesso di una 33enne che perse la vita 5 giorni dopo una cena a un ristorante di cucina giapponese. Il legale del ristorante: "Per giorni è stata data la colpa al cibo, ora qualcuno dovrà rispondere dei danni"
Non c’entra nulla il sushi con la morte di Oushi Khadija, 33enne marocchina che dopo una cena in un ristorante di Savignano sul Rubicone, in Romagna, fu ricoverata all’ospedale, entrò in coma e morì 5 giorni dopo. Tra le prime ipotesi ci fu un’allergia, un’intolleranza o comunque un disturbo legato alla cena a base di pesce crudo. Invece ora a fare chiarezza è stata la perizia della consulente della Procura di Forlì Donatella Fedeli che ha ricondotto il decesso della giovane a una broncopolmonite acuta. La 33enne, peraltro, soffriva anche di asma.
I risultati della relazione sono arrivati “dopo accurati accertamenti autoptici e istopatologici“, come ha spiegato l’avvocato Giulio Cesare Bonazzi, che rappresenta Gao Xiaowa, titolare del ristorante Sushiko, di Savignano, che in quei giorni finì su tutti i giornali. “Nell’aprile 2017 – ricorda Bonazzi – stampa e tv avevano riportato che la giovane era deceduta per avere consumato pesce crudo, con parole a volte pesantissime (‘sushi killer’). Inutile dire degli ingenti danni che la titolare di quest’ultimo ha subito. Danni di cui qualcuno dovrà rispondere. Non ultimo il marito della giovane marocchina il quale, al pronto soccorso, aveva dichiarato che la sera del 16 aprile, lui e la moglie avevano mangiato esclusivamente pesce fritto. Che nei giorni successivi, su cattivo consiglio di qualcuno, è diventato sushi“.