Per i giudici della Corte dei Conti, Luigi Patrone e Rosario Monteleone non dovranno risarcire i soldi chiesti dalla procura contabile perché la richiesta è tardiva. Il risarcimento rientrava nell’ambito dell’inchiesta sulle "spese pazze" dei gruppi consiliari, tra cui figurano una "paghetta" da 8mila euro al mese, cene, abbonamenti al treno e una fattura falsificata per il pagamento di alcune ceramiche
Rosario Monteleone si attribuiva una “paghetta” da 8mila euro al mese per arrotondare il suo stipendio da presidente del Consiglio regionale della Liguria. Ma tra le spese contestate dalla procura di Genova figuravano anche cene, abbonamenti al treno e una fattura falsificata per il pagamento di alcune ceramiche. L’ex consigliere regionale Udc e il suo collega Luigi Patrone non dovranno però risarcire i 42mila euro chiesti dalla procura contabile: per i giudici della Corte dei conti infatti, la richiesta è prescritta perché tardiva. Il risarcimento rientrava nell’ambito dell’inchiesta sulle “spese pazze” nei gruppi consiliari della Regione Liguria, che per quel che riguarda il periodo tra il 2010 e il 2012 ha portato a processo 23 tra ex e attuali consiglieri regionali con accuse a vario titolo di falso e peculato. Per i giudici però, tenendo conto di quanto sostenuto dalle difese dei politici, cioè che le notifiche di messa in mora sono avvenute nell’autunno 2015, “ovvero oltre 5 anni dalla data della trasmissione del rendiconto al presidente del Consiglio regionale (1/7/2010), deve intervenire la prescrizione dell’azione risarcitoria”.
Dalle indagini erano emerse varie spese private fatte passare come attività politica: abbonamenti al treno, spese telefoniche, rimborsi non intestati a consiglieri, spese senza idonea documentazione, molti pranzi e cene. Secondo l’accusa, sostenuta dal sostituto procuratore Francesco Pinto, i consiglieri regionali in quei due anni si sarebbero fatti rimborsare con soldi pubblici, spacciandole per spese istituzionali, di tutto e di più: gite al luna park, birre, gratta e vinci, ostriche, fiori e biscottini. E poi c’era appunto Monteleone, dimessosi da consigliere nell’ottobre 2013 dopo lo scoppio dello scandalo, al quale il pm contesta l’appropriazione di fondi regionali per svariate migliaia di euro attraverso rimborsi non pertinenti all’attività politica oppure di spese di cui hanno beneficiato altre persone e ancora per spese mai sostenute. In un caso ancora, il pm scrive che una fattura di 10mila euro, emessa in pagamento di alcune ceramiche e per la quale era stato ottenuto rimborso, era stata “falsificata“.
Il procuratore regionale, Claudio Mori, ha sottolineato come “non possano ritenersi rimborsabili con denaro pubblico le spese per ristorazione o altri consumi del membro del gruppo consiliare sostenute in locali di pregio, trattorie, pasticcerie, spese tutte sganciate dalla prova documentale”. Per i giudici della Corte dei Conti è scattata la prescrizione.
Le “spese pazze” in Liguria non si fermano al periodo 2012-2012. L’8 febbraio scorso il pubblico ministero Massimo Terrile ha chiesto il rinvio a giudizio sempre per Rosario Monteleone, insieme ad altre 12 persone tra cui l’ex consigliere Patrone, per il periodo compreso tra il 2008 e il 2010. I reati contestati, a vario titolo, anche in questo caso sono peculato e falso. Le cifre contestate ai 13 politici vanno da 20mila a 100mila euro, usate per viaggi, taxi, cene, libri e consulenze. L’inchiesta era nata dalle segnalazioni proprio della Corte dei conti che aveva riscontrato le irregolarità contabili.