Si continua ormai da mesi a discutere, senza troppe variazioni sul tema, sul pericolo rappresentato dalla Corea del Nord e dalla sua disponibilità di armi nucleari. Il dibattito, tuttavia, per chi sappia avventurarsi al di là degli steccati del pensiero unico e del teatro delle ideologie dominanti, è intrinsecamente falso nelle sue stesse fondamenta.
Provo a fare chiarezza, nel modo più semplice e diretto: sarebbe giusto e onesto chiedere alla Corea del Nord il disarmo, se il richiedente fosse esso stesso disarmato o, più realisticamente, si disarmasse contestualmente anch’esso. Ma non è così. Autoeleggendosi a poliziotto planetario (non mi risulta che tale incarico le sia stato assegnato consensualmente da nessuno), la monarchia del dollaro continua a reti unificate a lanciare grida d’allarme circa il pericolo rappresentato dalla Corea del Nord armata nuclearmente. Ma la monarchia del dollaro, che pretende il disarmo altrui, è pronta essa stessa, contestualmente, a disarmarsi?
Nei film western, quando i pistoleros si puntano l’uno contro l’altro la pistola, ciascuno può deporre l’arma se e solo se l’altro opera in modo analogo. Sarebbe pura follia, infatti, che uno gettasse la pistola e l’altro invece continuasse a impugnarla. Perché, dunque, la Corea del Nord dovrebbe deporre l’arma se la talassocrazia a stelle e strisce continua a essere armata fino ai denti e, di più, a esportare democrazia missilistica e a donare al mondo intero bombardamenti umanitari? Se la Corea del Nord gettasse l’arma, firmerebbe la propria condanna a morte: ossia la propria ridefinizione come colonia periferica del nuovo ordine mondiale atlantista.
Ricordo, per incidens (e a beneficio degli smemorati con interesse), che ad oggi le bombe atomiche sulla popolazione le ha gettate la liberalissima monarchia del dollaro e non la totalitaria Corea del Nord. Se, come si dice, quest’ultima è impresentabile, che dire allora di una potenza che ha sterminato centinaia di migliaia di innocenti con armi nucleari? Se la Corea del Nord è – come in larga parte è – oscena per la mancanza di libertà d’espressione e di diritti civili, che dire degli Usa, dove i signori apolidi del big business coesistono con immense nuove plebi emarginate, senza tetto e senza diritti sociali garantiti?
La Corea del Nord, se non altro, per quel che ne so, non si erge a modello universale per i popoli del pianeta. Il vero problema – lo sappiamo – è che il nuovo ordine mondiale post-1989 ha assunto un aspetto neoimperiale: il mondo intero deve, con le buone o con le cattive, subordinarsi all'”unica nazione indispensabile”, come Bill Clinton, il paladino degli spin doctors del progressisimo, ebbe a qualificare gli Usa. Chi non si piega, viene prima diffamato come Stato canaglia, poi bombardato in nome dei diritti umani, infine costretto a essere incluso nel nuovo ordine mondiale americano-centrico, identificato con la fine (capitalistica) della storia. Ecco lo storytelling dominante dal 1989 ad oggi: esso ci permette di leggere tutti i principali conflitti nel mondo post-sovietico (Iraq e Serbia, Afghanistan e Libia, ecc.).
L’happy end è sempre il medesimo: deposizione, quando non uccisione (Gheddafi, Saddam), del “dittatore” sempre accostato a Hitler dalla pubblicistica, e ingresso dello Stato liberato, nell’open space della libertà universale della free market democracy sotto egemonia statunitense. Lo sappiamo, nell’ordine simbolico dominante gli Stati traggono la loro legittimità non dalla sovranità popolare, dalla libera volontà del demos, bensì dalla lealtà al Fondo monetario internazionale e dal grado di asservimento alla talassocrazia del dollaro. Con tutti i suoi macroscopici limiti (se ne potrebbero certo menzionare tantissimi), la Corea del Nord è uno Stato non allineato al Washington consensus: e per questo i signori del mondialismo le hanno giurato odio imperituro. Fa bene, da un punto di vista geopolitico, a non disarmarsi: almeno fintantoché non si saranno disarmati anche quanti le chiedono di disarmarsi. È realisticamente il solo modo che ha per non capitolare. Senza esagerazioni: peggio della Corea del Nord vi sono solo gli Stati Uniti d’America. Chiedetevi, seriamente, chi oggi rappresenta il vero pericolo per la pace, la libertà e la sovranità dei popoli e avrete tutti gli elementi per inquadrare il senso della questione.
Diego Fusaro
Filosofo
Mondo - 3 Settembre 2017
Corea del Nord e Stati Uniti, chi oggi rappresenta il vero pericolo per la pace?
Si continua ormai da mesi a discutere, senza troppe variazioni sul tema, sul pericolo rappresentato dalla Corea del Nord e dalla sua disponibilità di armi nucleari. Il dibattito, tuttavia, per chi sappia avventurarsi al di là degli steccati del pensiero unico e del teatro delle ideologie dominanti, è intrinsecamente falso nelle sue stesse fondamenta.
Provo a fare chiarezza, nel modo più semplice e diretto: sarebbe giusto e onesto chiedere alla Corea del Nord il disarmo, se il richiedente fosse esso stesso disarmato o, più realisticamente, si disarmasse contestualmente anch’esso. Ma non è così. Autoeleggendosi a poliziotto planetario (non mi risulta che tale incarico le sia stato assegnato consensualmente da nessuno), la monarchia del dollaro continua a reti unificate a lanciare grida d’allarme circa il pericolo rappresentato dalla Corea del Nord armata nuclearmente. Ma la monarchia del dollaro, che pretende il disarmo altrui, è pronta essa stessa, contestualmente, a disarmarsi?
Nei film western, quando i pistoleros si puntano l’uno contro l’altro la pistola, ciascuno può deporre l’arma se e solo se l’altro opera in modo analogo. Sarebbe pura follia, infatti, che uno gettasse la pistola e l’altro invece continuasse a impugnarla. Perché, dunque, la Corea del Nord dovrebbe deporre l’arma se la talassocrazia a stelle e strisce continua a essere armata fino ai denti e, di più, a esportare democrazia missilistica e a donare al mondo intero bombardamenti umanitari? Se la Corea del Nord gettasse l’arma, firmerebbe la propria condanna a morte: ossia la propria ridefinizione come colonia periferica del nuovo ordine mondiale atlantista.
Ricordo, per incidens (e a beneficio degli smemorati con interesse), che ad oggi le bombe atomiche sulla popolazione le ha gettate la liberalissima monarchia del dollaro e non la totalitaria Corea del Nord. Se, come si dice, quest’ultima è impresentabile, che dire allora di una potenza che ha sterminato centinaia di migliaia di innocenti con armi nucleari? Se la Corea del Nord è – come in larga parte è – oscena per la mancanza di libertà d’espressione e di diritti civili, che dire degli Usa, dove i signori apolidi del big business coesistono con immense nuove plebi emarginate, senza tetto e senza diritti sociali garantiti?
La Corea del Nord, se non altro, per quel che ne so, non si erge a modello universale per i popoli del pianeta. Il vero problema – lo sappiamo – è che il nuovo ordine mondiale post-1989 ha assunto un aspetto neoimperiale: il mondo intero deve, con le buone o con le cattive, subordinarsi all'”unica nazione indispensabile”, come Bill Clinton, il paladino degli spin doctors del progressisimo, ebbe a qualificare gli Usa. Chi non si piega, viene prima diffamato come Stato canaglia, poi bombardato in nome dei diritti umani, infine costretto a essere incluso nel nuovo ordine mondiale americano-centrico, identificato con la fine (capitalistica) della storia. Ecco lo storytelling dominante dal 1989 ad oggi: esso ci permette di leggere tutti i principali conflitti nel mondo post-sovietico (Iraq e Serbia, Afghanistan e Libia, ecc.).
L’happy end è sempre il medesimo: deposizione, quando non uccisione (Gheddafi, Saddam), del “dittatore” sempre accostato a Hitler dalla pubblicistica, e ingresso dello Stato liberato, nell’open space della libertà universale della free market democracy sotto egemonia statunitense. Lo sappiamo, nell’ordine simbolico dominante gli Stati traggono la loro legittimità non dalla sovranità popolare, dalla libera volontà del demos, bensì dalla lealtà al Fondo monetario internazionale e dal grado di asservimento alla talassocrazia del dollaro. Con tutti i suoi macroscopici limiti (se ne potrebbero certo menzionare tantissimi), la Corea del Nord è uno Stato non allineato al Washington consensus: e per questo i signori del mondialismo le hanno giurato odio imperituro. Fa bene, da un punto di vista geopolitico, a non disarmarsi: almeno fintantoché non si saranno disarmati anche quanti le chiedono di disarmarsi. È realisticamente il solo modo che ha per non capitolare. Senza esagerazioni: peggio della Corea del Nord vi sono solo gli Stati Uniti d’America. Chiedetevi, seriamente, chi oggi rappresenta il vero pericolo per la pace, la libertà e la sovranità dei popoli e avrete tutti gli elementi per inquadrare il senso della questione.
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Romania, Georgescu escluso dalla ripetizione delle elezioni presidenziali. Scontri a Bucarest: la polizia disperde la folla coi gas lacrimogeni
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Ucraina, Musk minaccia di spegnere Starlink e insulta il ministro polacco: “Zitto ometto”. Il Pd al governo: “No accordi con lui”. Ma Salvini: “Da firmare domani”
Politica
I satelliti Starlink di Musk in corsa per coprire le zone montuose della Lombardia per 6,5 milioni
(Adnkronos) - "Se spengo Starlink, l'Ucraina crolla". Elon Musk è allineato con Donald Trump e invoca lo stop immediato della guerra tra Ucraina e Russia. Il magnate, pilastro dell'amministrazione del nuovo presidente americano, dall'inizio del conflitto ha messo a disposizione di Kiev il sistema satellitare Starlink. Gli Usa, negli ultimi giorni, hanno sospeso l'invio di aiuti militari all'Ucraina e hanno fermato la condivisione di informazioni di intelligence. Se Musk disattivasse Starlink, per le forze di Kiev sarebbe un disastro.
"Io - scrive il magnate su X - ho letteralmente sfidato Putin ad un combattimento uno contro uno sull'Ucraina. Il mio sistema Starlink è la spina dorsale dell'esercito ucraino. Se lo spegnessi, l'intera linea del fronte crollerebbe".
Musk individua anche un'altra soluzione: "Bisogna imporre sanzioni ai 10 principali oligarchi ucraini, specialmente quelli che vivono a Monaco, e tutto questo cesserà immediamente. Questa è la chiave".
L'Ucraina usufruisce di migliaia di terminali Starlink. Una parte è fornita dalla Polonia, che ha sottoscritto un contratto con SpaceX, il colosso che gestisce Starlink. "Il servizio di Starlink per l'Ucraina, circa 50 milioni di dollari ogni anno, è pagato dal ministero polacco per la Digitalizzazione. Se SpaceX si dimostrasse un fornitore inaffidabile, dovremmo cercare altrove", le parole di Radoslaw Sikorski, ministro degli Esteri di Varsavia.
Le parole di Mr X arrivano in un momento cruciale del conflitto. Le forze russe stanno riconquistando territori nella regione di Kursk, che l'Ucraina ha invaso dall'agosto 2024. L'obiettivo di Vladimir Putin sembra essere una spallata finale, che consenta a Mosca di presentarsi all'eventuale tavolo delle trattative con un quadro estremamente favorevole. "Non faremo concessioni", ha detto il presidente russo in settimana: nella sua visione, tutto ciò che è stato conquistato non verrà riconsegnato a Kiev.
L'obiettivo di Musk, così come quello di Trump, è lo stop immediato alla guerra: "Mi disgustano anni di massacro in uno stallo che terminerà inevitabilmente con la sconfitta dell'Ucraina. Chiunque abbia realmente a cuore la situazione e chiunque comprenda quello che sta succedendo - aggiunge - vuole che il tritacarne si fermi. Pace ora".
Nella sequenza di messaggi pubblicati da Musk nelle ultime ore spicca anche un tweet sul tema della Nato. A chi suggerisce l'uscita degli Usa dall'Alleanza, il miliardario replica: "Dovremmo davvero. Non ha senso che l'America paghi per la difesa dell'Europa".
Anche in questo caso, c'è una totale consonanza con le posizioni del presidente Trump. Gli Usa, ha detto il leader della Casa Bianca, non hanno intenzione di difendere chi non paga. Nelle ultime ore, inoltre, secondo indiscrezioni di stampa ha preso forma il piano per un progressivo disimpegno americano rispetto al Vecchio Continente: con il 2025 si esaurirà la partecipazione a stelle e strisce a manovre in Europa.
San Marino, 9 mar. (Adnkronos) - La rinascita internazionale dell’italo dance riparte da San Marino, con un biglietto per l’Eurovision di Basilea. Gabry Ponte, favoritissimo della vigilia, si è aggiudicato la vittoria del San Marino Song Contest e salirà sul palco dell’edizione svizzera dell’Esc come rappresentante della repubblica del Titano, potendo dunque contare potenzialmente anche sul voto degli italiani (nessun paese può votare per il proprio candidato e l’Italia è stato sorteggiata anche tra i paesi che potranno votare per San Marino il prossimo 13 maggio nella prima semifinale). “Ricordati che ‘Tutta l’Italia’ potrà votare per te”, ha fatto notare il Segretario di Stato di San Marino, Federico Pedini Amati, rivolto al vincitore subito dopo la proclamazione. “Questa canzone – ha confessato Ponte - mi ha dimostrato per l'ennesima volta quello che già era successo con gli Eiffel 65 e ‘Blue’ 27 anni fa: che una canzone scritta in uno studio in poche ore può avere dei risvolti e un percorso pazzesco che uno non avrebbe mai immaginato. Adesso questa sfida di Basilea è molto eccitante e sono veramente contento”.
A incoronarlo vincitore, la giuria presieduta da Luca De Gennaro, che ha motivato il verdetto: “Abbiamo fatto un lavoro molto onesto con noi stessi con un obiettivo, quello di sapere qual era la destinazione finale, cioè l'Eurovision. Non abbiamo votato secondo i gusti personali. Se volete vedere le statistiche degli artisti italiani più ascoltati nel mondo Gabry Ponte è uno dei primi. E poi San Marino fa parte di quel territorio italiano che è sempre stata la culla della musica da ballare, l'Adriatico, le discoteche, Rimini e Riccione. Quindi è giusto che San Marino porti verso l'Europa questo tipo di musica”, sottolineato.
Gabry Ponte, 52 anni e da quasi 30 sulla breccia come dj e producer (con un certo numero di successi internazionali all’attivo), era comunque molto emozionato sabato sera, nel Teatro di Dogana di San Marino: “Sono 30 anni che faccio questo lavoro fantastico e credo che il giorno in cui salirò su un palco senza essere emozionato, sarà l'ultimo giorno in cui salirò su un palco”, ha detto subito dopo la vittoria, ottenuta con un brano, ‘Tutta l’Italia’, nato in vista del grande appuntamento live fissato per il 28 giugno a San Siro (che ora sulla scia dell’Eurovision potrebbe vedere aggiungersi almeno un’altra data, vocifera qualcuno). “La canzone è nata in studio insieme a due amici autori, molto talentuosi, che sono Edwin Roberts e Andrea Bonomo. Io a giugno farò il mio primo concerto a San Siro e ci siamo proprio visualizzati l'immagine di uno stadio pieno di tutta l'Italia, che salta e che balla questa musica dance. Siamo partiti da questa immagine e poi la canzone è nata in maniera abbastanza spontanea nel giro di due ore”, ha raccontato. Un brano dance contaminato con alcuni elementi folk della cultura italiana, dalla fisarmonica alla tarantella. “La musica definisce un po' la cultura e l'identità di un popolo, da sempre. Quindi mi piace molto contaminare la musica dance, che poi peraltro si presta tantissimo, più di qualsiasi altro genere musicale, a essere contaminata con il folklore. L'Italia ha una tradizione folkloristica enorme, quindi abbiamo preso questa volta un po' di pizzica, un po' di tarantella e ci siamo divertiti molto”, ha aggiunto.
Sul tipo di modifiche che potrebbe proporre per l’esibizione a Basilea, Ponte ha rimandato alle prossime settimane. “Per ora ci siamo concentrati prima su Sanremo e poi su San Marino, da domani ci mettiamo al lavoro sull’Eurovision per presentarci al meglio”, spiega. Ma una cosa è già certa: l’Ebu non chiederà modifiche al testo perché aveva già dato il suo via libera prima del San Marino Song Contest. “Abbiamo mandato tutti i testi all'Ebu – ha spiegato il direttore di Una Voce per San Marino, Denny Montesi - perché sappiamo che non ci devono essere citazioni politiche e religiose nei testi. Quindi avevamo sottoposto due dubbi: uno riguardava il fatto che il brano di Gabry citasse Craxi e ‘avanti popolo’, l’altro riguardava il brano di Giacomo Voli, che citava l’Ave Maria. L’Ebu ha risposto che entrambi i brani non infrangono il regolamento”, ha assicurato.
A chi gli ha fatto notare che, dopo le polemiche su ‘Espresso Macchiato’ dell’estone Tommy Cash, c’è chi ha detto che anche ‘Tutta l’Italia’ propone un ritratto non proprio edificante del Bel Paese, Ponte ha risposto: “Noi l'abbiamo fatto in maniera ironica. Ci siamo messi a immaginare una fotografia di questo paese, scherzando su alcuni cliché che nel bene e nel male rappresentano un po' l'Italia agli occhi, non solo degli italiani, ma anche di chi vive fuori dall'Italia”.
Sui due ‘cantanti mascherati’ (che poi sono i due coautori della canzone) che lo hanno accompagnato sul palco sia a Sanremo che a San Marino, Ponte ha spiegato: “Ci sono delle persone che fanno questo lavoro ma che non amano apparire. A me faceva piacere avere le persone con cui ho scritto il pezzo con me sul palco, ho chiesto loro se avessero voglia di prendere parte a questa avventura, però allo stesso tempo rispetto la loro volontà e quindi abbiamo deciso tutti insieme che la soluzione poteva essere quella di avere dei cantanti mascherati che non devono mostrare la faccia ma possono cantare il pezzo che hanno contribuito a scrivere”.
All’Eurovision Gabry Ponte si troverà in qualche modo anche a sfidare Lucio Corsi, che rappresenterà l’Italia a Basilea: “Lucio Corsi non lo conosco personalmente ma ho grande stima di lui. E sono sinceramente contento che sia andato lui all'Eurovision a rappresentare l'Italia perché parlavamo prima della musica come rappresentazione dell'identità di un popolo e una delle tradizioni più forti della musica italiana è proprio il cantautorato. E poi il pezzo di Lucio era uno dei miei pezzi preferiti di Sanremo”, ha detto. Che poi ha spiegato perché ‘Tutta l’Italia’ non era in gara a Sanremo: “Il regolamento di Sanremo prevede che ogni artista che partecipa in gara debba cantare. Io sono un DJ, non canto. Abbiamo ragionato con Carlo su diverse possibilità per avere il pezzo in gara, ma non siamo riusciti a trovare una quadra che soddisfacesse il regolamento del festival e noi che abbiamo scritto la canzone” (l’unico altro artista in gara non cantante, Shablo, ha dovuto infatti presentarsi dichiarando i due feat di Joshua e Tormento, ndr.). “Poi Conti ha avuto quest'idea di farlo diventare la sigla e per me è stato un grande onore”, ha aggiunto Ponte che ha voluto dedicare la vittoria di San Marino a tutti i suoi fan. “Devo tutto a loro”, ha detto prima di ammettere che l’Eurovision non era mai stato prima nei suoi pensieri: “E’ arrivato in maniera naturale, abbastanza inaspettata, se devo essere sincero. La cosa bella della musica, per cui io continuo a essere innamorato di quello che faccio, è che è tutto sempre imprevedibile”. (di Antonella Nesi)
(Adnkronos) - Tritacarne in regalo alle madri di soldati russi caduti in Ucraina in occasione della Festa della Donna. Polemica e choc in Russia per l'iniziativa di una sezione locale del partito al governo di Vladimir Putin, Russia Unita. A Polyarniye Zori, nella regione di Murmansk, funzionari sorridenti del partito sono stati riprese mentre, sorridenti, consegnano fiori e tritacarne, parola ampiamente utilizzata per descrivere le brutali tattiche della Russia in prima linea. Il messaggio di accompagnamento ringraziava le "care mamme" per la loro "forza d'animo e l'amore che mettono nell'educazione dei loro figli".
Immediate le reazioni online che hanno definito il gesto "vergognoso" e "inappropriato", soprattutto considerando la connotazione negativa del tritacarne. La parola russa per il tritacarne, myasorubka, ha lo stesso doppio significato dell'inglese. Si riferisce a una tattica che comporta pesanti perdite, in cui piccoli gruppi di soldati vengono inviati in attacco, uno dopo l'altro, in ondate, rischiando pesanti perdite, con l'obiettivo di logorare e sopraffare le truppe ucraine.
La sezione locale del partito a Polyarniye Zori ha respinto le critiche, definendole "interpretazioni crudeli e provocatorie". Il sindaco Maxim Chengayev, presente alla consegna dei doni, ha dichiarato che i tritacarne non erano previsti inizialmente, ma che "una donna li ha richiesti, e ovviamente non abbiamo potuto dire di no", secondo quanto affermato da Russia Unita. Successivamente, il partito ha pubblicato un video in cui una madre ringraziava goffamente per i regali, confermando di aver richiesto personalmente un tritacarne per necessità.
Le perdite russe in Ucraina rimangono ufficialmente non quantificate, sebbene i media indipendenti parlino di molte decine di migliaia di morti. Il sito web russo Mediazona e il servizio russo della Bbc hanno dichiarato il mese scorso di aver identificato i nomi di 91.000 soldati russi uccisi, ma ha aggiunto che il bilancio effettivo sarebbe probabilmente “notevolmente più alto”. Alla fine del 2024, l’allora segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, ha parlato di 700.000 soldati russi uccisi o feriti.
Anche le perdite ucraine sono ingenti. A febbraio, il presidente Volodymyr Zelenskyy ha dichiarato che più di 46.000 soldati ucraini sono stati uccisi e circa 380.000 feriti. I resoconti dei media basati su fonti occidentali hanno dato a temperature delle vittime militari ucraine stimate che vanno da 50.000 a 100.000.
(Adnkronos) - "Se spengo Starlink, l'Ucraina crolla". Elon Musk è allineato con Donald Trump e invoca lo stop immediato della guerra tra Ucraina e Russia. Il magnate, pilastro dell'amministrazione del nuovo presidente americano, dall'inizio del conflitto ha messo a disposizione di Kiev il sistema satellitare Starlink. Gli Usa, negli ultimi giorni, hanno sospeso l'invio di aiuti militari all'Ucraina e hanno fermato la condivisione di informazioni di intelligence. Se Musk disattivasse Starlink, per le forze di Kiev sarebbe un disastro.
"Io - scrive il magnate su X - ho letteralmente sfidato Putin ad un combattimento uno contro uno sull'Ucraina. Il mio sistema Starlink è la spina dorsale dell'esercito ucraino. Se lo spegnessi, l'intera linea del fronte crollerebbe".
Musk individua anche un'altra soluzione: "Bisogna imporre sanzioni ai 10 principali oligarchi ucraini, specialmente quelli che vivono a Monaco, e tutto questo cesserà immediamente. Questa è la chiave".
Le parole di Mr X arrivano in un momento cruciale del conflitto. Le forze russe stanno riconquistando territori nella regione di Kursk, che l'Ucraina ha invaso dall'agosto 2024. L'obiettivo di Vladimir Putin sembra essere una spallata finale, che consenta a Mosca di presentarsi all'eventuale tavolo delle trattative con un quadro estremamente favorevole. "Non faremo concessioni", ha detto il presidente russo in settimana: nella sua visione, tutto ciò che è stato conquistato non verrà riconsegnato a Kiev.
L'obiettivo di Musk, così come quello di Trump, è lo stop immediato alla guerra: "Mi disgustano anni di massacro in uno stallo che terminerà inevitabilmente con la sconfitta dell'Ucraina. Chiunque abbia realmente a cuore la situazione e chiunque comprenda quello che sta succedendo - aggiunge - vuole che il tritacarne si fermi. Pace ora".
Nella sequenza di messaggi pubblicati da Musk nelle ultime ore spicca anche un tweet sul tema della Nato. A chi suggerisce l'uscita degli Usa dall'Alleanza, il miliardario replica: "Dovremmo davvero. Non ha senso che l'America paghi per la difesa dell'Europa".
Anche in questo caso, c'è una totale consonanza con le posizioni del presidente Trump. Gli Usa, ha detto il leader della Casa Bianca, non hanno intenzione di difendere chi non paga. Nelle ultime ore, inoltre, secondo indiscrezioni di stampa ha preso forma il piano per un progressivo disimpegno americano rispetto al Vecchio Continente: con il 2025 si esaurirà la partecipazione a stelle e strisce a manovre in Europa.
(Adnkronos) - E' stato stroncato da un infarto che lo ha colto nella sua abitazione Carmine Gallo, il super poliziotto protagonista per anni della lotta alla criminalità organizzata a Milano e di recente coinvolto nell’inchiesta Equalize sui presunti dossieraggi illeciti. Aveva 66 anni.
Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - "Il nostro governo ha scelto di realizzare i termovalorizzatori con risorse pubbliche, stanziando 800 milioni di euro attraverso il Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc). Questo per evitare che il costo di ammortamento potesse ricadere sui cittadini attraverso tariffe esorbitanti. Noi vogliamo evitare questo errore e garantire un sistema sostenibile dal punto di vista economico, ambientale e sociale. Non solo". Così, in un intervento sul Giornale di Sicilia il Presidente della Regione siciliana Renato Schifani. "I termovalorizzatori rappresentano una grande opportunità anche per il nostro sistema energetico- dice -In un periodo storico in cui i costi dell’energia sono sempre più elevati e la transizione ecologica è una priorità globale, trasformare i rifiuti in energia significa rendere la Sicilia più autonoma, ridurre la dipendenza da fonti fossili e creare un sistema. Il nostro cronoprogramma: entro questo marzo/aprile bando per progettazione; entro settembre 2026 inizio lavori (durata diciotto mesi). La Sicilia non può più permettersi di rimanere prigioniera dell’emergenza, della precarietà, dell’inerzia. È il momento di agire con coraggio e senso del dovere".
"Chi si oppone abbia almeno l’onestà di dire chiaramente perché e di assumersi la responsabilità di condannare questa terra al degrado e all’inefficienza- dice Schifani - Non possiamo accettare che il futuro della Sicilia venga bloccato da interessi di parte, da vecchie logiche a volte ambigue. Non possiamo più tollerare un sistema che penalizza i cittadini, le imprese e l’ambiente. La nostra Regione merita di voltare pagina. Merita un futuro fatto di pulizia, decoro e sostenibilità. Noi andremo avanti, con determinazione e con la convinzione che questa sia l’unica strada possibile. Anche se in salita. In tutti i sensi. Perché la Sicilia merita di più".
Palermo,9 mar. (Adnkronos) - "Perché, dopo vent’anni di dibattiti e promesse mancate, ancora oggi qualcuno si oppone alla realizzazione di impianti di termovalorizzazione? L’esperienza europea dimostra che questi impianti sono una soluzione efficiente e sicura per chiudere il ciclo dei rifiuti, trasformando ciò che non può essere riciclato in energia pulita. Eppure, in Sicilia si è continuato a rinviare, mentre le discariche si riempiono e i cittadini pagano bollette sempre più alte per smaltire i rifiuti altrove. È davvero un problema di tutela ambientale? No, perché i moderni termovalorizzatori sono progettati per garantire emissioni praticamente nulle, rispettando i più severi standard europei". Così il Presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, in un intervento sul Giornale di Sicilia. "Parlare di inquinamento è oggi fuori luogo: in molte città del Nord Italia, in Europa e nel mondo, questi impianti convivono con i centri abitati senza alcun impatto sulla qualità dell’aria", dice.
"Forse si vuole difendere il business delle discariche? È un dubbio legittimo. Il sistema attuale, infatti, ha spesso alimentato interessi economici poco trasparenti, in alcuni casi perfino legati alla criminalità organizzata. E di questo ho parlato in occasione della mia audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle ecomafie", conclude Schifani.