L'uomo, un richiedente asilo congolese, è stato catturato da due agenti donne in stazione a Rimini dopo essere sfuggito a un primo tentativo di arresto. Era in fuga verso la Francia. Il padre dei marocchini: "Quando li ho riconosciuti, ho detto di andare dai carabinieri. Devono pagare". I tre fermati sabato trasferiti nel centro per minori di Bologna, due negano atti di natura sessuale. "Turpi e brutali atti di violenza", scrive la pm nel decreto di fermo
Lo hanno arrestato mentre cercava di fuggire a bordo di un treno nella notte, l’ultimo uomo del branco che il 26 agosto, a Rimini, avrebbe stuprato una donna polacca e una trans peruviana.
Guerlin Butungu, 20 anni, congolese arrivato nel 2015 in Italia e regolare in Italia grazie a un permesso per motivi umanitari, è stato catturato da due donne, agenti dello Sco e della squadra Mobile, nella stazione della città romagnola, dove era in transito a bordo di un treno sul quale era salito a Pesaro. Secondo gli inquirenti, il ragazzo era diretto a Milano da dove avrebbe poi tentato di fuggire in Francia. Era l’ultima chance, dopo essere sfuggito a un primo tentativo di arresto a Pesaro, attorno alle 2 di notte. I poliziotti lo avevano intercettato in centro, all’altezza del parco Miralfiore, mentre era in bicicletta.
Lui, armato di un coltello, si è accorto di essere circondato ma non si è arreso. Ha abbandonato la bicicletta e si è gettato all’interno del parco, dove ha fatto perdere le tracce. Ma aveva il cellulare: seguendone la localizzazione, la polizia ha individuato il luogo in cui si trovava, raggiungendolo in stazione mentre tentava di scomparire di nuovo. Freddo, quasi distaccato. Così è parso agli inquirenti. Al momento ha cercato di negare, poi ha ammesso tutto. Nessun sentimento di pentimento o pianto.
L’uscita dalla questura di Butungu (video di D. Vecchi)
Considerato il capobranco, Butungu era accerchiato. Gli investigatori stavano tenendo sotto controllo il suo cellulare. Avevano scoperto che si stava spostando dopo gli arresti degli altri tre presunti appartenenti al gruppo di giovani che tra il 25 e il 26 agosto scorso aveva prima aggredito una coppia polacca nel bagno 130 di Miramare, stuprando lei, e poi abusato di una trans peruviana lungo la Statale. Due episodi che il pm per i minorenni di Bologna, Silvia Marzocchi, definisce “turpi, brutali e ripetuti atti di violenza” nel decreto di fermo dei tre bloccati sabato.
La svolta è stata la confessione di due fratelli marocchini di 15 e 16 anni, nel pomeriggio di sabato. Gli inquirenti spiegano che si sarebbero consegnati e avrebbero iniziato a parlare perché, da “criminali in erba”, non riuscivano a sopportare il peso di quello che il doppio stupro che avevano commesso. Sono stati loro, poi, a dare indicazioni sugli altri due coinvolti nelle violenze di fine agosto. Il terzo uomo è stato bloccato poche ore dopo dagli agenti dello Sco: un nigeriano, minorenne come i fratelli nordafricani. Due dei tre, non si sa quali, negano di aver compiuto atti di natura sessuale ma comunque ammettono di aver tenuto ferma almeno una delle vittime, la donna polacca, e poi di aver partecipato al pestaggio del compagno.
L’arresto del capobranco in stazione
Anche il padre dei marocchini – ora portati assieme al 16enne nigeriano nel centro di prima accoglienza della struttura penintenziaria di via del Pratello a Bologna – aveva riconosciuto i figli dopo la diffusione delle foto: “Gli ho detto di andare subito dai carabinieri. Può capitare che uno rubi un telefonino, ma non che uno violenta una donna. Se hanno fatto una cosa del genere devono pagare“, dice l’uomo, 51 anni, al Resto del Carlino. Sabato,il figlio 17enne è rientrato a casa piangendo, racconta il padre, un saldatore residente da anni in Italia, e “mi ha detto che lui era con suo fratello e altri due loro amici, un congolese e un nigeriano, a Rimini”. Poi, aggiunge, “mi ha detto che quello maggiorenne li ha costretti ad andare a Rimini, che gli prometteva soldi se loro magari rubavano qualche cellulare e poi lo rivendevano a lui. Che li ha fatti bere, una birra in un locale, una in un altro…”.
Il ragazzo ha ricostruito al padre anche la sua versione dell’aggressione alla coppia polacca: “Il congolese ha puntato la ragazza polacca e ha detto ‘A questa ci penso io’. La picchiava, le tirava gli schiaffi. Lui ha provato a dirgli ‘Lasciala stare, perché fai queste cose’. Ma poi l’ha trascinata lontano da loro e ha continuato”. Che cosa ha detto ai ragazzi quando ha capito che erano loro? “Che dovevano dire la verità e che non dovevano stare zitti per una settimana intera – spiega l’uomo – E che sono stati fortunati. Io lo so come funziona il giro. Gli errori li ho fatti anche io. Mi sono ubriacato, ho rubato, ho fatto risse. Quindi, primo, con la transessuale hanno rischiato perché potevano essere rintracciati dal protettore. Ma poi hanno rischiato anche per la violenza alla donna polacca. Perché, lo dico chiaro, se qualcuno violenta una delle mie donne, mia moglie o mia madre o mia figlia, io lo ammazzo“.