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Emozionarsi non è reato: come liberare i maschi dal maschilismo

Quanto siamo abituati a interrogarci sugli effetti nefasti che il maschilismo ha avuto e continua ad avere sugli stessi maschi eterosessuali?

La polemica di Jonathan Bazzi

Non piangere mai, in nessun caso. Nascondi fragilità e debolezze. Non dipendere da nessuna donna. Anzi dominale, dominale tutte. Fatti obbedire. Nessuna può permettersi di rifiutarti. Devi essere sempre pronto a fare sesso, a mo’ di maniaco. Fattene il più possibile: sei un collezionista. Non emozionarti: è da sfigati. Ti è concessa solo la rabbia. Devi essere dotato. Grosso, fisicato. Non chiedere aiuto. Non chiedere niente. Sfotti gli omosessuali: dimostra che non sei come loro. Non avvicinarti troppo agli amici maschi: saresti sospetto. Buttala sempre sul ridere, evita le menate e le seghe mentali. Difendi il territorio e la femmina. Fai vedere a tutti quanto vali. Devi essere coraggioso: sei il capobranco. Quanto siamo abituati a interrogarci sugli effetti nefasti che il maschilismo ha avuto e continua ad avere sugli stessi maschi eterosessuali?

Se il femminismo ha una storia lunga e articolata – anche se (non a caso) in parte incompiuta – la sfida di immaginare e legittimare versioni alternative dell’identità maschile eterosessuale sembra non aver mai avuto interpretazioni significative, né tantomeno vincenti. Soprattutto a livello popolare e mediatico. “Gli uomini sono così”, si sente dire spesso, ma questo è tendenzialmente falso. Il sessismo non è naturale: è fatto soprattutto di cultura, educazione, training. Se viene percepito come naturale è proprio perché l’identità maschile non è mai stata problematizzata e (ri)pensata a dovere.

Eppure gli stereotipi rovinano la vita non solo alle donne. Gli uomini che soffrono – anche con esiti tragici – a causa dei modelli dominanti tutti forza, potere e performance sono sempre di più. Il grande, onnipervasivo (falso) mito della superiorità maschile è spesso infatti più una richiesta da soddisfare che un beneficio. È una missione che viene imposta. Una ricerca pubblicata di recente su una rivista accademica di psicologia clinica – il Journal of Counseling Psychology – ha dimostrato che gli uomini che sentono di dover aderire più rigidamente agli stereotipi sono quelli a maggior rischio di depressione. Bisogno di controllare la propria donna, violenza, omofobia: la mentalità maschilista intossica, produce soggetti fragili. Più un uomo è sensibile agli stereotipi e più sarà incline ad irrigidirsi e purtroppo a volte anche a spezzarsi, facendo del male a se stesso e agli altri (alle altre).

L’incapacità di conformarsi al modello del Grande Maschio Dominante – granitico, non ambiguo e onnipotente – genera paura. E la paura, soprattutto se non viene trattata e resta sotterranea, diventa distruttiva. Mortifera. L’hanno capito bene i volontari dell’associazione Il Cerchio degli Uomini, che hanno istituito uno sportello telefonico per il disagio maschile e in particolare per quegli uomini che si rendono conto di avere reazioni violente e vogliono essere aiutati.

È fondamentale e preziosa la riflessione femminista “standard”, da donne a donne, ma sembra che davvero quasi niente sia stato fatto per scardinare dall’interno gli stereotipi maschilisti. Un vuoto certo non casuale: le donne sono abitualmente state oggetto di attenzione e controllo da parte del contesto sociale e proprio per questo hanno dovuto imparare a riflettere (insieme) su se stesse e sulla società. Gli uomini questo non l’hanno mai fatto: essendo il gruppo “dominante” non sono abituati a decostruire la loro identità. Non ce n’è mai stato bisogno, apparentemente. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Eppure l’unica possibilità di autentica trasformazione della qualità delle nostre relazioni passa da qui: dalla demolizione degli stereotipi che sclerotizzano il maschile destinandolo il più delle volte al ruolo del carnefice. È di vitale importanza che sia il gruppo che storicamente ha elaborato la narrazione maschilista a demolirla: la violenza di genere deve essere sconfitta da chi la pratica. Come dice Kelly Temple: “Gli uomini che vogliono essere femministi non hanno bisogno di avere spazio nel femminismo. Hanno bisogno di prendere lo spazio che hanno nella società e renderlo femminista”.

Il mondo occidentale è sempre più ricco (per fortuna) di iniziative, associazioni e progetti creati dalle donne per parlare alle donne o dalle persone LGBT per le altre persone LGBT, ma questo non è sufficiente. Mancano infatti, e direi quasi del tutto, progetti fatti da ragazzi e uomini eterosessuali per rivolgersi agli altri uomini e ragazzi etero. Progetti che comincino a diffondere l’idea che gli uomini possono essere molto più di quello che la tradizione ci ha fatto credere. Che possono giocare con l’identità e emozionarsi, “sconfinare” esteticamente, sperimentare – anche col corpo e la sessualità, deragliare dai binari dei ruoli e del già visto, senza doversi preoccupare di salvaguardare i luoghi comuni.

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