“L’Amministrazione farà in modo di garantire i servizi, ma la città ed i residenti devono sapere che questo luogo appartiene a loro. Dobbiamo utilizzare questo luogo nel modo più fantasioso e più pieno, perché riscoprire un bene e poi non renderlo fruibile non serve a niente”. Giovanni Pianese, ex Dc, eletto sindaco nel Pdl, era stato chiarissimo all’inaugurazione del Parco archeologico di Liternum a Lago Patria, frazione di Giugliano, nel napoletano. Con lui, nel giugno del 2010, c’erano il presidente del Consiglio Guarino, i consiglieri comunali Mallardo, Carlea e Pezzella, oltre al comandante della PM, il colonnello Baldi, il maresciallo Membrino dei Carabinieri di Varcaturo. Patrizia Gargiulo, responsabile della Soprintendenza archeologica, ricordava che “è stato fatto tanto per rendere questo luogo fruibile alla città”.
Un taglio del nastro con i consueti buoni propositi. Ad andarci ora avreste difficoltà a riconoscere i resti della città quasi inghiottita dall’impaludamento dell’area in età post-antica, che le indagini avviate a partire dal 1932 hanno evidenziato. Il foro con annessi capitolium, basilica e teatro, ma anche quartieri abitativi e tratti di viabilità urbana, insieme a un’area artigianale e ambienti di carattere commerciale. Oltre a resti di un santuario con portico, di un complesso termale e di un anfiteatro. Quasi tutto nascosto da “una distesa di canne comuni e rovi”, sparito “sotto una fitta coltre di arbusti”, come descritto pochi giorno fa dal Mattino.
E pensare che per la “Sistemazione e la valorizzazione dell’area archeologica di Liternum” sono state impegnate risorse non da poco, provenienti dal Por FESR Campania 2000/2006. A partire da agosto 2006 circa 480mila euro del I lotto dei lavori ai quali vanno aggiunti, anche se risultano impegnati solo in parte, circa 2,5 milioni di euro del II lotto. Risorse queste ultime che avrebbero potuto essere impiegate nella realizzazione di un Museo, in un’area attigua all’area archeologica. E’ rimasta un’idea. A gennaio 2017 ancora fondi, dal momento che il parco archeologico risulta inserito nel “Progetto integrato per il recupero e la riorganizzazione del sistema della mobilità, dell’accessibilità e della fruizione dei Siti del Parco Archeologico dei Campi Flegrei”. Progetto finanziato con 299mila euro nel Piano azione e coesione 2017-2013.
In attesa che lo stanziamento risulti disponibile, il sito – 85 mila metri quadrati, delimitato da una recinzione metallica – ha il cancello d’ingresso aperto, anche se risulta “temporaneamente chiuso”, come informa il sito del Mibact. Insomma si può entrare liberamente. Dall’apertura del Parco fino a settembre 2014 ad occuparsi della manutenzione, gestione e promozione del parco archeologico sono stati i volontari della “Pro loco litorale Domizio”. Compito tutt’altro che agevole. “Noi facciamo il possibile per conservare la dignità del sito, speriamo che vengano stanziati i fondi necessari per metterlo in sicurezza”, diceva già nel 2011 Luigi De Martino, presidente dell’associazione. Negli ultimi anni, a parte i sei mesi nei quali il Comune ha affidato l’area alla sezione di Giugliano dell’Associazione Nazionale Carabinieri, più nulla. Nessun controllo dell’area ed episodici tagli dell’erba. Nonostante nel 2016 l’Amministrazione comunale abbia sottoscritto un protocollo con la Campania Ambiente, società della Regione Campania che avrebbe dovuto assicurare il recupero degli spazi verdi e quindi il ripristino dei luoghi. A partire dall’impianto elettrico, vandalizzato.
Sembra la solita storia del sito archeologico abbandonato. In questo caso c’è dell’altro. All’interno del Parco archeologico continuano a vivere, inspiegabilmente, due famiglie. In edifici con tanto di spazi coltivati, considerati abusivi sia dal Comune che dalla Soprintendenza archeologica. Edifici, peraltro di mole considerevole che nel corso dei decenni hanno anche ampliato le loro originarie cubature, con aggiunte di strutture di vario tipo. Senza contare che quello a più breve distanza dall’ingresso al Parco, in via Scipione l’Africano, si è impiantato, almeno parzialmente, sul tracciato della via Domitiana. Rimane difficile capire perché, nell’operazione di esproprio dei lotti di terreno da parte del Comune, non si sia provveduto all’espromissione per pubblica utilità delle aree occupate indebitamente. Rimane incomprensibile giustificare che dal 2009 ad oggi su quell’abuso non sia intervenuto concretamente nessuno degli enti che hanno giurisdizione sul parco. Né il Comune di Giugliano, né la Soprintendenza archeologica, né la ex Provincia, attuale Città metropolitana di Napoli. Parole, niente altro, finora.
“L’Amministrazione comunale intende valorizzare gli scavi di Liternum … Il sito andrà liberato dalla presenza di manufatti abusivi e di attività “incongruenti”. Andrà promossa la sua conoscenza e fruibilità, in particolare da parte delle scuole”, si legge nel programma elettorale del ribelle Pd Antonio Poziello, eletto sindaco nel giugno 2015. Ma a Lago Patria nulla é cambiato. Sugli abusivi e sulle condizioni del parco ci sono state anche interrogazioni alla Camera della democratica Zamparutti nel giugno 2010 e più recentemente, al parlamento europeo, della grillina Adinolfi nel luglio 2015, al Senato del grillino Puglia ad agosto 2016. A giugno 2017 anche un’interrogazione al consiglio regionale da parte del grillino Cirillo.
Tentativi per provare a scuotere il torpore che sembra impedire al parco archeologico di acquistare una sua dignità. Il movimento 5 stelle di Giugliano a giugno ha proposto una sua candidatura all’Unesco. Mentre Giovanni D’Alterio, studente in architettura alla Seconda Università di Napoli, si é laureato nel 2016 proprio con un progetto di valorizzazione del sito. Tentativi finora inutili.
“Il mio desiderio è di avere un parco sempre più archeologico e meno a verde”, auspicava Patrizia Gargiulo della Soprintendenza il giorno dell’inaugurazione. Finora verde spontaneo e abusivi sembrano fare la parte del leone. L’archeologia è diventata un elemento trascurabile.