“Il regime sta iniziando la vendetta contro di noi”. Ahmed Abdallah è il presidente dell’Egyptian Commission for Rights and Freedom, l’organizzazione egiziana che rappresenta legalmente la famiglia di Giulio Regeni in Egitto. La preoccupazione nella sua voce è tangibile perché questa mattina il sito web dell’ECRF è stato bloccato dalle autorità del Cairo. Sorte già toccata negli ultimi mesi a 133 siti internet, tra giornali e portali web di partiti politici e associazioni, secondo l’Arabic Network for Human Rights Association.
Il blocco del sito dell’ECRF arriva il giorno dopo l’audizione del Ministro degli Esteri Angelino Alfano alle commissioni esteri congiunte di Camera e Senato sulla scelta di inviare il nuovo ambasciatore Giampaolo Cantini al Cairo dopo il ritiro di Maurizio Massari nell’aprile del 2016. “Stanno cominciando ad accanirsi contro di noi. È come se la seduta di ieri davanti alle commissioni esteri avesse dato la luce verde al governo egiziano per dimenticare il caso”, dice Abdallah a IlFattoQuotidiano.it. “Per il governo egiziano, il rinvio dell’ambasciatore significa solo una cosa: che i rapporti fra noi e l’Italia si sono normalizzati e che quindi tutto ciò che ha a che fare con Regeni deve scomparire, a partire proprio da noi”.
Gli avvocati dell’ECRF ogni giorno forniscono assistenza ai parenti dei desaparecidos egiziani: il loro database al momento ne conta più di 1.000, con 107 sparizioni solo nel primo trimestre del 2017. Il loro sito internet non è solo uno strumento con cui l’organizzazione diffonde i rapporti sui diritti umani nel Paese, ma è anche un punto di contatto tra i familiari delle vittime di sparizioni forzate: “Ho avuto modo di sentire i parlamentari italiani, il vostro ministro parla di svolta nelle indagini ma in realtà gli inquirenti egiziani non stanno collaborando”, continua Abdallah. “Le autorità italiane non sono mai state ammesse agli interrogatori, non hanno mai potuto farlo perché, secondo Il Cairo, sarebbe contro la legge. Ma anche noi, che invece abbiamo un gruppo di avvocati egiziani siamo sempre stati isolati. Abbiamo inoltrato due volte la richiesta per avere gli atti ed è sempre stata respinta. Non abbiamo mai potuto vedere le carte”.
Lunedì il responsabile della Farnesina ha affermato che le “relazioni con l’Egitto sono obbligate” e che i nuovi documenti arrivati alla Procura di Roma giustificano la nuova mossa diplomatica annunciata il 14 agosto. “Abbiamo due nomi: il primo è quello di Sharif Magdi Abdlaal, il capitano della sicurezza di Stato – prosegue Abdallah – lui teneva i contatti con Mohammed Abdallah, il capo degli ambulanti che ha filmato Giulio durante il loro incontro. È lo stesso che mi ha accusato e arrestato con prove false e mi ha fatto scontare quasi 6 mesi di carcere lo scorso anno. Poi c’è Mahmoud Hendy, l’ufficiale che ha messo in atto il depistaggio dei cinque uomini giustiziati nel marzo del 2016, spacciati per una banda di rapitori di stranieri. Queste sono figure importanti e non sono mai state indagate in modo serio”. Gli inquirenti italiani sono in possesso anche di un altro nome, quello di Osan Helmy, che secondo i tabulati telefonici analizzati da SCO e ROS sarebbe uno degli agenti della National Security che ha arruolato Mohammed Abdallah.
A fine mese i magistrati italiani si riuniranno al Cairo con la Procura generale egiziana. I punti da risolvere sono ancora tanti, a partire dall’analisi delle telecamere di sorveglianza della metro di Bohooth, la stazione in cui Regeni si è recato il 25 gennaio 2016, il giorno della sua scomparsa. Al momento gli inquirenti non sono ancora in grado di ricostruire il luogo della sparizione, di capire se il ricercatore italiano ha preso la metro per andare al centro del Cairo o se è stato preso nella strada della stazione, a pochi passi dalla sua abitazione. Le autorità egiziane si sono sempre rifiutate di spedire le immagini (sovrascritte) alla società tedesca che doveva analizzarle, si erano solo resi disponibili a farle esaminare al Cairo. Secondo La Repubblica, gli egiziani avrebbero bocciato la società tedesca e ne avrebbero scelto un’altra con base in Russia.
Ma per gli inquirenti italiani resta un miraggio anche interrogare i 3 ufficiali dei quali si conoscono i nomi. Lo scorso giugno le autorità egiziane hanno rigettato la richiesta degli inquirenti italiani di assistere agli interrogatori di 7 graduati egiziani che hanno indagato su Regeni prima della sua morte. Secondo fonti citate dall’Ansa, Roma avrebbe ricevuto solo un riassunto delle testimonianze. “Se la presenza dell’ambasciatore cambierà questo atteggiamento? Lo spero”, afferma Abdallah. “Vedremo cosa succederà nei prossimi mesi, ma in ogni caso noi continueremo a sostenere la famiglia Regeni nonostante le difficoltà”.