Il film è ispirato, a detta di Aronofsky alla fiaba di Barbablu, come ad Edgar Allan Poe e perfino al Bunuel del Fascino discreto della borghesia: “Ho messo delle persone in una stanza e gli ho fatto distruggere lo società"
Finalmente il film che divide. Mother! di Darren Aronofsky, in Concorso alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia, s’impone, s’infila, s’incunea tra le membra degli spettatori veneziani senza lasciare anonima indifferenza. O ci sono i fischi, o ci sono applausi. La sfida visiva e percettiva del regista newyorchese torna ad essere quella affrontata a Venezia 2006 quando arrivò il pacchetto bomba di The Fountain, film che la critica (mondiale) massacrò. Lì però nacque un marchio compositivo autentico che apparentemente si celò sotto l’iperrealismo di The Wrestler (Leone d’Oro a Venezia 2008), per poi riemergere in Black Swan e infine tornare agli albori con questo Mother!
Film connotato da una ripetitiva ciclicità narrativa, quello che vede il quartetto Jennifer Lawrence, Javier Bardem, Ed Harris e Michelle Pfeiffer protagonisti. In un’apparentemente bucolica e isolata casetta a tre piani, immersa in un imprecisato bosco, la “madre” (Lawrence) si sveglia esclamando “baby!”. In casa passeggia sinistro “lui” (Bardem), possibile marito della donna, scrittore apparentemente bloccatosi a livello creativo. Non ci sono fantasmi, scheletri sepolti in cantina, o babau per far saltare lo spettatore sulla sedia, ma una certa sinistra e cupa atmosfera di terrificante attesa sì. Lo sguardo di Aronofsky si carica di un paio di scelte formali – la semisoggettiva della “madre” e parecchi suoi primi piani in rapida successione di montaggio – per farle e farci osservare un set/ambiente semplicissimo: la casa.
Dimora sicura, comune a chiunque, che si esplora in orizzontale, in verticale su per le scale o giù nello scantinato, e di nuovo orizzontalmente in ogni stanza. Mai però la protagonista esce fuori, in esterni. La possibile ripresa dell’attività di scrittura di lui sembra dietro l’angolo. Interrotta però dallo strano e invadente arrivo di un tizio, un medico (Harris), che sembra stesse cercando un bed and breakfast. Il padrone di casa lo fa entrare come se lo conoscesse da sempre. Poi di ospiti ne arriveranno altri, citiamo almeno la moglie del medico (una Pfeiffer di grande livello), prima della spoilerata appena accennata: perché in quella casa avverranno almeno un paio di invasioni di normalissimi esseri umani che porteranno il caos soprattutto per la madre che inascoltata urla a tutti di “andarsene”, con una risoluzione narrativa tesa verso un finale devastante e concitato che non vi possiamo svelare.
Nulla a che a fare però con l’orrore di genere, con l’effettaccio gore, con il ‘bu’ da dietro la porta. La mostruosità in Mother! sta in questa invasione casalinga dalle sembianze quotidiane, come perfino da questo spropositato narcisismo della creazione artistico/letteraria di “lui”, o nella creazione naturale della vita della “madre”. Tavolozza cromatica imbevuta in incupiti gialli, marroni, arancioni e rossi, Aronofsky insuffla sensazioni e richiami di esoterico e sacro, nuclei venosi e carnosi pulsanti, incrostazioni sanguigne e materia che si distrugge zozza e incandescente per poi ricomporsi linda e pulita. Il cinema di Aronofsky è qualcosa di spiazzante fin dai tempi dell’esordio di Requeim for a dream: allegoria metaforica, trip estetico, febbrile proiezione ad occhi aperti dell’inconscio, che spingono lo spettatore a cancellare i legami dal reale trasportandolo in un surrealismo ipnotizzante. Atteggiamento “autoriale” stilistico peculiare simile a quello di un Inarritu o un Cuaron (la seconda parte di The mother è tanto visivamente cuaroniana alla Figli degli uomini), compresa questa percezione di un’apocalisse possibile in ogni attimo di film e che si scatena al semplice comando del regista creatore.
“Mentre per Black Swan ci ho messo dieci per scriverlo, per Mother ci ho messo 5 giorni”, spiega il regista, oramai diventato beniamino del pubblico del festival almeno da quando riportò Mickey Rourke al Lido, e su grande schermo con The Wrestler. “Il film mi è uscito di getto, partendo proprio dal fatto che viviamo su questo pianeta e da quello che ci sta succedendo senza essere in grado di reagire e di fare niente. Sono comunque un’ottimista nel cambiare le cose. In Usa siamo schizofrenici ultimamente. Prima firmiamo gli accordi sul clima, poi li disdiciamo, ma almeno abbiamo visto chi è il nemico e ora possiamo attaccarlo”, sottolinea il regista che spiega anche come sia un’ambientalista molto attivo. Mother! è ispirato, a detta di Aronofsky alla fiaba di Barbablu, come ad Edgar Allan Poe e perfino al Bunuel del Fascino discreto della borghesia: “Ho messo delle persone in una stanza e gli ho fatto distruggere lo società. La casa è un luogo in cui vive chiunque e in cui chiunque si riconosce. Puoi abitare a Central Park come ad Aleppo, ma un aspetto accomuna tutti: le case sono costruite dagli uomini”.