Musica

Cantautori, la poetica del caos e dell’armonia di Federico Sirianni

Breve premessa: la canzone d’autore e la discografia italiana.

Da diversi anni oramai la discografia in senso tradizionale per la canzone d’autore non esiste più. Non esiste più quel soggetto che investe soldi propri, facendo scouting e accollandosi il rischio d’impresa di un progetto, puntando su un artista per uno, due, tre album per far sì che si possa sviluppare un “discorso stilistico”. No, più o meno a cavallo tra secondo e terzo millennio hanno seriamente cominciato a farsi sentire le conseguenze del fatto che, a causa dell’informatica e di internet, artista e utente finale abbiano scavalcato la discografia: perché produrre, riprodurre in buona qualità ed esistere costano molto meno. Tutto questo, se da un lato ha felicemente aumentato l’offerta di canzone d’autore italiana, ha anche dato in pasto al gorgo della rete ogni proposta, in maniera indistinta: bravissimi ma anche pessimi cantautori. Senza importanti investimenti, in rete uno vale uno.

Svolgimento: Federico Sirianni è uno dei migliori cantautori italiani. Classe 1968, quattro album all’attivo, pubblica il primo disco, Onde clandestine, nel 2002, quindi nel bel mezzo della situazione sopra descritta. Mi piace chiamare “cantautori novissimi” gli artisti che hanno avuto vita nuova da questa recente situazione o che, come Sirianni appunto, in questo periodo hanno cominciato a pubblicare. “Novissimi” nell’accordare la propria libertà produttiva all’autonomia che la situazione permetteva e permette.

Federico Sirianni, dunque, è un cantautore novissimo, perché della “lezione” classica della canzone d’autore conserva la necessità di esprimersi per veicolare una propria poetica, un personale stile formale, un proprio modo di vedere il mondo, la vita, le cose.

Sin dal primo disco è presente nella sua poetica la frenesia di buttare giù il corredo dei propri gusti musicali, che sanno di mare e di luoghi lontani, del crogiolo delle culture, ritmi differenti, caos informe dei primi brani come Vesna  o Navigante .

Da qui la poetica di Federico Sirianni assume quella felice caratteristica che è propria dell’autenticità dei migliori: i dischi sembrano sempre più maturi, coerentemente col percorso di vita parallelo tra uomo e artista, che sigilla l’esclusività d’autore di chi solo e solamente sa produrre quelle precise canzoni lì. Dal basso dei cieli del 2006 e Nella prossima vita del 2013 contengono sempre quel caos informe che è a un tempo armamentario e irrequietezza, Cohen, Waits e i labirinti della propria ispirazione, come nei brani Martenitza o Perché la vita , L’anima di Dio o La stanza cinese  . Ma proprio nel disco del 2013 e in particolare da La stanza cinese salta fuori una volontà di “mettere le cose a posto” tramite l’arte, una necessità di cosmogonia, di tendere all’armonia delle forme; senza riuscirci, il che rigenera anche la necessità del canto, della scrittura. Le strofe sono sussurrate, parlate e scivolose fin dagli arrangiamenti minacciosi, che si avvalgono del pianoforte significante di Michele Di Toro e si aprono in un ritornello acquietante: per l’anima dell’artista, però, non per la facile fruizione del pubblico.

 (nella foto “L’amore in fondo” secondo Graziano Fabrizi)

Questa volontà di mettere le cose a posto prosegue nel disco del 2016, Il santo. Si può per esempio citare il brano che dà il titolo all’album , in cui Sirianni compie una specie di autobiografia, partendo dalle onde clandestine del navigante, in un viaggio di rime e simboli, che sfocia in una ricerca di complicità, un qui e ora che sappia descrivere l’attimo e dare un senso alle cose. Oppure L’amore in fondo. In particolare qui si acuisce il raccapriccio dell’io poetico: ma non c’è solo stanca disillusione, c’è anche la poderosa nudità dell’anima di fronte al fatto di comprendere che anche così, col canto che si fa inadeguato, manchevole, sempre più stanco, l’amore quando arriva scardina ogni cosa: che sia per una donna, per un uomo, per un figlio o un nipote. Ancora ci si chiede: “E io come metto a posto tutto questo?”, ma dal finale prende forma un’ulteriore evoluzione della poetica di Sirianni, cioè l’idea che nell’età matura si possa riuscire a godere della bellezza senza acerba frenesia, senza doverla necessariamente afferrare col coltello tra i denti, come accadeva nelle prime canzoni. Si può persino arrivare a farsi da parte per farla splendere, come estrema e sacrificale ricerca d’equilibrio: semplicemente perché è giusto così.