Erika dette la colpa agli albanesi e si organizzarono fiaccolate contro gli immigrati. Poi arrivò il tempo dell'allarme romeni. La cronaca è da sempre usata dalla destra per coltivare il proprio consenso. Fino all'infamia dell'importazione delle malattie. La differenza è che ora la sinistra tace
Sono stati due stranieri, disse, due albanesi: erano fatti così e così, alti in questo modo, i capelli di questo colore, uno aveva la barba, l’altro no. Sono entrati, volevano rubare e hanno ucciso mamma, hanno ammazzato mio fratello, io sono scappata ed eccomi, ho dato l’allarme. La polizia le credette, fermò un tizio che sembrava proprio uguale all’identikit. Aveva la fortuna di avere un alibi ma ormai tutti dicevano che erano stati gli albanesi. Così in tutta Italia scesero per strada, maneggiando le fiaccole: basta immigrati. Dalle piazze erano appena stati ritirati gli striscioni e le fiaccole si erano appena spente quando, due giorni dopo, la storia inventata da Erika De Nardo, a Novi Ligure, finì in cenere. La Lega Nord non chiese mai scusa: “Citare la criminalità albanese ed extracomunitari – spiegò Mario Borghezio – è un riflesso condizionato naturale di fronte al reiterarsi di episodi che hanno creato una grande paura”. “Eccitando gli animi è facile fomentare fenomeni razzisti e xenofobi” rispose il ministro dell’Interno Enzo Bianco, ora nel Pd. Quella storia non è mai finita: prima sono stati gli albanesi, poi è toccato ai romeni, poi ai nordafricani, ora a tutti gli africani. Lo schema – ciclico, quasi scientifico – è scegliersi gli episodi di cronaca à la carte per rendere più degna la propria linea e più gonfio il gruzzolo di voti. Fino alle conseguenze più estreme e buffonesche: il 28 ottobre Forza Nuova guiderà una sua marcetta su Roma, che ha chiamato “dei patrioti”, “per fermare violenze e stupri da parte degli immigrati che hanno preso d’assalto la nostra patria”.
Assalto. Invasione. Pericolo. Caos. Ondata. Esasperazione. Feroci. Allarme. Vergogna. Orde. Basta. Emergenza. All’estremo è anche il vocabolario. “Ho temuto per la tenuta democratica del Paese” ha detto il ministro dell’Interno Marco Minniti, ricordando di essersi trovato “di fronte a barricate per l’arrivo di migliaia di stranieri e a sindaci che mi dicevano no”. In questo racconto, però, è saltato un pezzo: le barricate e i rifiuti dei Comuni erano spesso vestiti, organizzati, sostenuti, sollevati da partiti, movimenti, leader politici.
Il segretario della Lega Nord Matteo Salvini alcune ore fa si è presentato a Desio perché la scorsa settimana una ragazzina di 17 anni di origine marocchina è stata violentata in un palazzo abbandonato da un 22enne anche lui marocchino. Nessun politico, invece, si è presentato a Gallipoli, dove nello stesso giorno una 19enne è stata abusata da un 27enne di Latina in un villaggio turistico. Nessuno ha organizzato sit-in fuori dalla discoteca San Salvador dell’Eur, a Roma, dove un imprenditore di 50 anni è stato pestato a morte dai buttafuori. Nessun corteo ha protestato a Verona dopo che un portoghese per una sigaretta negata aveva ammazzato un altro portoghese in un bed and breakfast. Nessuna bandiera ha sventolato ad Acqui Terme dove un ragazzino rifugiato è stato messo in mezzo da nullafacenti di produzione locale: l’hanno picchiato, spintonato, ridacchiando, poi hanno pubblicato il video su facebook. In questo caso nessuna generalizzazione sui piemontesi abituati a fare i bulli. Anzi: “La politica delle porte spalancate a tutti, come Salvini e la Lega denunciano da anni, non fa altro che aumentare il rischio di violenze“. Nessuno è andato a bussare al sindaco di Pimonte, in provincia di Napoli, che aveva definito bambinata lo stupro di gruppo su una 15enne da parte di 12 coetanei.
La necessità del Babau
Come nelle storielle di paura per spaventare i bambini, agli striscioni, ai comunicati e ai post su facebook serve l’uomo nero. “Furgone contro la folla sulle Ramblas a Barcellona, secondo testimoni ci sono morti e feriti, i giornali spagnoli parlano di ‘attentato’. Chi saranno i criminali?” scriveva su facebook Salvini un’ora e 25 minuti dopo la strage. Succede tutti i giorni. “Un immigrato africano di 19 anni, richiedente asilo in attesa di espulsione, ha accoltellato un autista di autobus vicino a Siena e poi ha aggredito i carabinieri che sono intervenuti. Che brava persona, voleva pagarci la pensione. E’ stato ferito. Peccato”. “Saidou Mamoud Diallo, 31 anni, immigrato clandestino. Due giorni fa accoltella un poliziotto a Milano. Oggi è già fuori di galera. Forse verrà espulso. Vergogna! Se avesse accoltellato non un ‘semplice poliziotto’, ma un parente di un giudice o di un politico, non sarebbe a spasso. Sbaglio?”. “Immigrato nordafricano, già arrestato per droga, accoltella un militare e un poliziotto durante un controllo in Stazione Centrale a Milano. E quei fenomeni del Pd cosa fanno? Organizzano per sabato la Marcia per i migranti”. Le domande retoriche, la scelta delle parole lasciano ai commentatori il lavoro più sporco. Finché tutto si ribalta. Quella del prete di Pistoia Massimo Biancalani è diventata cronaca solo perché il capo del Carroccio l’ha messo alla berlina. Così il sacerdote si è trovato a celebrare messa con la chiesa blindata come uno stadio.
L’uomo nero c’è sempre stato perché è l’incubo perfetto. “La spaventosa mattanza cui ha dato luogo un delinquente spacciatore marocchino ci prospetta quello che sarà, molte altre volte, uno scenario a cui dobbiamo abituarci” diceva l’eurodeputato della Lega Nord Mario Borghezio dopo la strage di Erba. Erano appena iniziate le indagini sull’omicidio di Yara Gambirasio che Borghezio proponeva “un’aggravante per i reati commessi dai clandestini”, mentre il collega senatore Piergiorgio Stiffoni dava la colpa al “solito buonismo”: “Di delinquenti ne abbiamo talmente tanti in Italia che non serve importarne gratuitamente, cacciamoli tutti a casa loro”. Commentando un omicidio avvenuto in strada a Terni, finito con l’arresto di un marocchino, Calderoli si impegnava in un compendio: “Dal picconatore Kabobo ai rumeni ubriachi colpevoli di incidenti mortali, fino a tunisini, indiani, senegalesi e via dicendo che si sono resi colpevoli dei reati più efferati, l’elenco sarebbe lunghissimo”.
Il tempo dei romeni
C’è stato il tempo dei romeni, per esempio, dopo l’apertura delle frontiere dell’Unione Europea anche verso i Paesi dell’Est. Nel 2007 una lite per una spinta a una fermata della metro, a Roma, finì con la morte di una ragazza di 21 anni, Vanussa Russo, trafitta all’occhio con un ombrello da una giovane prostituta romena, Doina Matei. La Matei fu bloccata mentre era in fuga, arrestata, condannata. Per la Lega Nord quella storia valeva per tutti i romeni. “Sono 10 anni che questi signori dell’est, conosciuti come ubriaconi violenti, assassini, sfruttatori di minorenni e di bambini, pirati della strada stanno nel nostro Paese a commettere delitti – commentò sempre Stiffoni – In agosto ne sono usciti parecchi grazie all’indulto; ad ottobre lanciammo l’allarme-rumeni, appena tre mesi prima dell’entrata del Paese nell’Ue”. Pochi mesi dopo Giovanna Reggiani fu assassinata a Tor di Quinto per mano di un romeno poi condannato all’ergastolo. Le reazioni di quei mesi spinsero un regista italo-romeno, Bobby Paunescu, a farci un film, Francesca. “La politica – ricordò il regista – ha sbagliato da entrambe le parti: gli italiani che volevano sbattere fuori tutti i romeni, i romeni che volevano distinguere tra romeni e rom per criminalizzare in toto solo questi ultimi”.
Di tutta un’erba
Nell’operazione di sfruttamento dei giacimenti di notizie di nera, la regola è che uno vale per tutti. “In Italia – rifletteva Calderoli a metà agosto – non passa giorno senza che un immigrato violenti una donna. Adesso abbiamo negli occhi le immagini del violento linciaggio del nostro giovane connazionale brutalmente ucciso da tre criminali ceceni in Spagna“. “Notiamo – scrive Forza Nuova dopo un tentato stupro a Bologna – che la prassi e le vittime sono sempre le stesse, come sono sempre gli stessi gli esecutori di questi atti odiosi: ebbene riguardano sempre cittadini di origine straniera”. “E’ già buono che non mi hai messo il coltello alla gola” ha ridacchiato il leghista Stefano Candiani in uno studio televisivo rivolto a Davide Piccardo, della Consulta Islamica.
I fatti di Rimini hanno coinciso con l’abbattimento dell’ultima diga, il metro mancante. I giornali di destra, molto prima degli arresti, si lamentavano che gli altri giornali non dicevano che gli stupratori erano probabilmente nordafricani. E infatti non era vero: i due fratelli di origine marocchina sono nati in Italia, un altro del gruppo è congolese, il capo nigeriano.
Di sicuro la “sete di verità” è stata saziata nei giorni successivi. “Il fatto incontrovertibile – sottolinea Edmondo Cirielli, Fratelli d’Italia, parlando di Rimini – è che i protagonisti dell’episodio sono immigrati magrebini. Non si può negare l’evidenza. Squallido e patetico è il tentativo di occultare la nazionalità degli artefici delle violenze e di proteggere a tutti i costi chi si macchia di simili reati, in nome dell’accoglienza”. “E’ a questa gente che vogliamo regalare la cittadinanza con lo ius soli?” si è chiesto l’ex ministro Roberto Calderoli. “Mi auguro che almeno con riferimento a quelle bestie nessuno si azzardi a dire che sono da considerare dei ‘minori non accompagnati'” ha twittato Laura Ravetto, di Forza Italia. “La popolazione extracomunitaria del nostro Paese non arriva al 10 per cento e più di un terzo degli stupri viene fatto da immigrati clandestini, questo ce la dice lunga sul fenomeno” ha aggiunto Daniela Santanchè.
In realtà in 4 casi su 10 il violentatore è straniero, molto spesso le vittime degli stupri sono della stessa nazionalità di chi le violenta e gli esperti parlano di un enorme sommerso perché gran parte degli abusi avviene in famiglia. “La violenza sulle italiane – ha spiegato qualche anno fa il sociologo Marzio Barbagli – trova più spazio sulla stampa, fa più clamore e gli italiani, siano padri o mariti, si identificano di più con i padri e i mariti colpiti”.
L’uso del verosimile
Il rischio dei politici che giocano a questo gioco è alto, ma tanto nessuno se ne accorge. Matteo Salvini a luglio era indignatissimo e lanciava il solito bastone da riporto al suo uditorio di facebook: “Vi pare normale? Gli italiani sono stanchi di farsi mettere i piedi in testa da questi delinquenti. Per quanto mi riguarda, quando saremo al governo, tolleranza zero e stop invasione, senza se e senza ma”. Era successo che un capotreno in Lombardia aveva denunciato di essere stato accoltellato a una mano per proteggersi da un fendente diretto alla pancia da un extracomunitario, “nero, sui 25 anni”. Alla Procura bastò qualche giorno per capire che si era inventato tutto. Ma Salvini aveva perso tutta l’indignazione per strada. Non scrisse mai su facebook che, non c’era nessun aggressore. “Mica posso rispondere di un capotreno. Ne sono stati aggrediti otto, se uno di questi otto si accoltella da solo non è un problema mio”. A febbraio anche Giorgia Meloni era indignatissima raccontando di una 16enne che “ha denunciato di essere stata presa a calci e pugni e molestata da due nordafricani. (…). Solidarietà alla ragazza e rabbia per l’ennesimo episodio che conferma la grave emergenza sicurezza che vive l’Italia”. Era accaduto a Mortara, Pavia, e anche Salvini si schifò così tanto da abusare del caps lock: “Basta, ci vogliono le MANIERE FORTI con questi BALORDI!”. I magistrati dopo poco capirono che non era vero niente e che anche la giovane aveva messo in piedi una storia mai avvenuta. Né la Meloni né Salvini non dissero più niente perché non è importante la verità, ma la verosimiglianza. Basta il messaggio, come tutti i poster e gli slogan elettorali.
Tubercolosi, meningite, malaria
E’ un meccanismo valido per tutto. Fino alla più sfacciata delle infamie: “Portano le malattie”, come ha titolato Libero, dopo che una bimba è morta di malaria. “Sembra evidente – ha commentato Paolo Grimoldi, della Lega Nord, che di lavoro fa l’artigiano – che a portare in Italia malattie che da noi erano state debellate da decenni sono gli immigrati che arrivano dall’Africa”. “Che l’approdo massiccio di persone provenienti da Paesi africani nei quali alcune malattie debellate da tempo secondo l’Oms a livello europeo, si stiano rimanifestando in maniera rilevante in Italia, è più che un sospetto” ha affermato con italiano incerto Michaela Biancofiore, Forza Italia. “Che assicurazioni dà il governo che le orde di finti profughi che stanno invadendo l’Italia non stanno anche portando gravissime malattie?” si chiede Tony Iwoby, responsabile Immigrazione della Lega, nigeriano. Ma, anche in questo caso, non è la prima volta. All’inizio del 2017, quando l’allarme sanitario era la meningite, Debora Bergamini, responsabile comunicazione di Forza Italia, protestava: “Secondo il governo non ci sono grandi rischi che gli immigrati che arrivano sulle nostre coste possano essere portatori di malattie infettive. Noi riteniamo invece che il governo stia sottovalutando questo pericolo”. Grimoldi era attentissimo: “In Lombardia stanno aumentando i casi di tubercolosi, di malaria, di meningite e ci domandiamo se tutte queste malattie stiano tornando a colpire la nostra popolazione perché importate, come sostiene l’Oms, dai flussi migratori”. L’Oms ha detto esattamente il contrario, più volte.
Prima gli italiani
Rubano i portafogli, le donne, le vite, le case popolari. Alcuni residenti di San Basilio, a Roma, a dicembre si ribellarono al fatto che una famiglia italiana che aveva occupato un alloggio pubblico era stata sgomberata per lasciarla ai legittimi affidatari, marocchini. “La gente è esasperata da uno Stato sempre attento alle esigenze degli immigrati e sempre più distante da quelle degli italiani” commentò Giorgia Meloni. Pochi giorni fa a Tiburtino la prima notizia era di una rivolta dei cittadini dopo che un profugo che tirava sassi da un centro d’accoglienza contro alcuni bambini. La seconda è diventata che una donna era stata trascinata per i capelli fino a essere sequestrata nel centro della Croce Rossa per un’ora. L’unico dato di fatto, infine, è stato che quella donna è stata indagata per lesioni aggravate per una coltellata alla schiena all’eritreo. Eppure Salvini ha chiesto la chiusura del centro ripetendo “stop invasione e violenza”, la Meloni ha dato la solidarietà ai “romani esasperati”.
La voce del silenzio
L’inizio di tutto, forse, fu Goro: l’emblema delle barricate contro l’arrivo di 12 donne che hanno spaventato Minniti. “Mi vergogno per loro” scosse la testa il prefetto Mario Morcone, prefetto responsabile dell’immigrazione al Viminale. Quel tempo sembra passato. A rispondere alla Lega Nord e alle altre destre c’è il silenzio quasi totale. La corsa elettorale ha mangiato la lingua a tutti. La nuova politica, rottamatrice e anti-casta, si è ridotta quasi al mutismo. La vecchia, meno di dieci anni fa, parlava così: “La legalità non si afferma gridando all’untore, creando barriere o fabbricando mostri per la platea dei media. E’ stato affibbiato alla comunità romena il marchio infamante di stupratori. E’ uno degli stereotipi più vergognosi partoriti da un sistema di informazione superficiale. Tale stereotipo può produrre fenomeni di violenza razzista. Dalla politica e dal mondo dell’informazione debbono arrivare messaggi seri e responsabili. C’è in particolare bisogno di combattere l’aberrante associazione tra criminalità e immigrazione che può insinuarsi in alcuni settori della popolazione e dell’opinione pubblica”. Oggi suona come fossero parole di Civati. Invece lo disse Fini.