Attualità

Come il terrorismo mi ha rovinato le vacanze (impedendomi di pubblicare il selfie perfetto)

Controcorrente, provocatrice, cinica fino all'eccesso, Martina Dell'Ombra è diventata un caso mediatico nel 2015, quando le sue opinioni certamente non convenzionali hanno cominciato a diffondersi a macchia d'olio sui social network. Martina collabora con FQ Magazine e si tratta di una collaborazione ad alto tasso di corrosivo e disturbante sarcasmo

Divertissement di Martina Dell'Ombra

Siamo nel pieno di agosto. Mi trovo, come di routine, sullo yatch di un caro amico in Sardegna, e scatto un selfie. La foto è perfetta: il mare cristallino dietro, gli scogli, le tette in evidenza. E’ davvero il selfie perfetto, non ho neanche bisogno di modificarlo. Inizio subito a caricarlo per postarlo su Instagram, dove conto di ottenere almeno 1000 like in un minuto quando, il cameriere della barca, avvisa spaventato: c’è stato un attentato in Spagna. Gli altri miei super amici del mio super amico chiedono dove esattamente: è importante capire se si tratta di una località Top. Ci rispondono che si tratta di Barcellona. Sì, è una località Top, anche se scende di livello in alta stagione estiva.

Comunque il punto è che ci sono dei morti, tantissimi feriti, e vittime italiane. Quanto basta perché tutti si zittiscano e commentino, in ordine: – L’assurdità della vita – L’assurdità del terrorismo – L’assurdità dell’Islam, dell’invasione, della religione, e dei caftani bianchi A me dispiace super tanto per le vittime, però vorrei tornare a bere il mio cocktail, ma sembra impossibile: tutti cercano informazioni sul telefono per rivelare agli altri i particolari sconvolgenti della vicenda. C’è chi si mette a fare la telecronaca in versione “Diretta di Mentana da Portofino”. Mi rendo conto in pochi minuti che devo rinunciare a postare il mio selfie: sembrerebbe sbagliato, indelicato, inappropriato. Riceverei un sacco di critiche e, soprattutto, nessuno noterebbe le tette, preso com’è dallo shock post terroristico. Decido, con pazienza, di aspettare qualche ora: quel selfie merita di essere pubblicato.

Il giorno dopo sono ad un after party sulla spiaggia, intorno me molta gente ricca ma pochi Vip quindi mi annoio, mi viene in mente che è il momento perfetto per postare quel famoso selfie. Lo carico, sto per pubblicarlo, quando l’amico che ha organizzato il party dice: “Ma avete sentito? Un altro attentato in Spagna!!” In realtà si scopre essere un luogo sconosciuto della Spagna, Cambrils. Questa notizia comunque mi sconvolge meno, anche perché Cambrils non è una meta Top. In ogni caso, nonostante l’orario, sono tutti sul web: c’è chi cerca gli amici che erano lì (pare che tutti abbiano amici del cuore in Catalogna), chi posta un commiato su facebook, chi esprime indignazione contro l’islam, gli arabi e i negri in generale. In pochi minuti #Cambrils vola subito in tendenza. Non posso postare il selfie adesso. Rimanderò.

Il giorno dopo stiamo pranzando sulla spiaggetta privata di un altro super amico. Il luogo è incontaminato ed ha dei colori caraibici. Io, neanche a farlo apposta, indosso un trikini rosa con i fenicotteri, perfetto per quello sfondo! Allora decido di farmi fare una foto intera, perché forse sono proprio i selfie che portano sfiga, e chiedo alla mia amica di inquadrare bene la mia figura in posa plastica. Il risultato è perfetto: aggiungo un filtro e carico immediatamente su Instagram. In quel momento l’amica mi dice: “Ma ti sembrava il caso?” “Mi sembrava il caso di cosa? Dici per i fenicotteri?” Forse i fenicotteri sono già fuori moda e non me ne sono accorta! “No, è che c’è appena stato un attentato di Finlandia!” “Ah.” Ora, con tutto il rispetto, mai avrei pensato che tra me ed una foto in trikini si potesse intromettere la Finlandia! Mi basta lo sguardo di disapprovazione della mia amica: devo cancellare subito il post. Io non so bene dove sia Finlandia, credo nei dintorni dell’Antartide, ma comunque quella foto caraibica non è certo in linea con il mood finlandese, soprattutto in modalità lutto. Rimanderò.

Siamo a cena, il giorno dopo, in uno dei luoghi più cari di tutta Porto Cervo. Non ho neanche bisogno di chiedere la foto che il mio accompagnatore decide di farmela di propria spontanea volontà, quando mi vede in posa davanti ad una fontana barocca ricoperta di brillanti Swarosky che zampilla acqua dorata. Il risultato è fantastico. Uno scatto del genere significa qualche migliaio di follower in più. Ma sono cose normali, bisogna rimanere calmi. Nell’esatto istante in cui sto premendo per “post” mi arriva l’anteprima di un messaggio privato, da parte di un fan: “Martina, cosa ne pensi di quest’ultima tragedia?” Non ci credo. “QUALE tragedia?” Per la prima volta rispondo ad un fan. Giusto per incredulità. E’ statisticamente impossibile sia accaduto qualcosa di nuovo. Inverosimile. Meno realistico del sedere di Kim Kardashian. Mi arriva la risposta: “L’attentato a Surgut” Innanzitutto: dove è Surgut? Poi: Perché? Perché devo preoccuparmi di luoghi dal nome impronunciabile, perché? Ora basta. Sapevo dell’odio. Sapevo della guerra. Sapevo del terrorismo. Ma non potevo immaginare che la situazione fosse così specifica. Loro non “ci” odiano. Loro non “ci” vogliono morti. Loro ce l’hanno con noi. Loro ce l’hanno con me, e con le mie foto. Qualcosa, in me, li infastidisce. Forse le mie forme sapientemente modellate chirurgicamente. Forse i miei outfit finto casual ma very elegant. Forse la mia posa plastica che loro non riesco a replicare, perché si agitano troppo. Oppure l’evidente invidia per la visibilità che io, almeno, ottengo senza dovermi per forza far esplodere da qualche parte. O forse odiano semplicemente il mio uso smodato del filtro “Valencia”.

Inizio a pensare che abbiano messo un microchip nella fotocamera del mio telefono per sapere quando sto per postare una foto ed agire in tempo per impedirmelo. Ma non mi avranno. Non possono fermare così la mia libertà. Non possono costringere il popolo del web ad un lutto continuo e, quindi, ad uno sciopero delle foto scollate in favore di immagini tristi e nastrini cupi. Non mi possono costringere a leggere tremila “RIP”, cinquemila “vergogna”, ottomila “a casa loro”, e neanche un gioiosissimo “escile”. Tutta quest’attenzione che si sposta su di loro, e non più su di me, o su qualcun altro di meritevole, non mi piace. Mi fa sentire come quando stai dal parrucchiere e, nonostante le tue richieste e la tua attenzione, ti rendi conto di essere inerme rispetto a quelle forbici che manipolano la tua chioma a piacimento, ed a quelle tinte, che agiscono silenziose mentre tu, inconsapevole, sfogli le pagine di “Chi”, ed attendi ti tolgano il casco, per vedere il meraviglioso risultato. Solo che il meraviglioso risultato non arriva e l’entusiasmo svanisce davanti all’immagine di un capello deturpato di fronte al quale non c’è più nulla da fare se non accettare, metabolizzare, ed andare avanti. Ed è così che ho capito che i terroristi sono come alcuni parrucchieri: un ammasso di ego che si risolve in un disastro. Ma se non mi ha mai fermato un parrucchiere incapace, non ce la farà certo un ammasso di gente senza alcun senso del gusto e, soprattutto, del tempismo. Non riusciranno a rovinare anche l’ultimo spiraglio delle mie vacanze: prendo il telefono, scatto un selfie, e posto la foto. Qualunque cosa accada, io, non la rimuovo.

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