La storia di Zahira - violentata per due settimane di fila anche da 5 uomini alla volta nelle celle del Mezzeh, a Damasco - è raccontata insieme a quella di altre 7 donne nel dossier "Voices in the Dark", pubblicato dalla ong 'Lawyers and Doctors for Human Rights'. Secondo il 'Network siriano per i diritti umani', le donne detenute in Siria sono 7,571
Stuprata per 14 giorni di fila, anche da cinque soldati alla volta, e picchiata. E’ quanto accaduto a Zahira – il nome è di fantasia – arrestata nel 2013 nella periferia di Damasco, in Siria, e portata all’aeroporto militare del Mezzeh, nella capitale siriana, dove ha sede il servizio segreto dell’aeronautica. Durante un interrogatorio, in cui è stata penetrata sessualmente “in ogni cavità”, un soldato ha filmato quanto avveniva, minacciandola di mostrare il video alla famiglia e all’intera comunità. Successivamente, la donna è stata spostata nella sezione 235 dei servizi segreti militari e rinchiusa in celle di 3 metri per 4 con altre 48 detenute. Una situazione d’affollamento tale da spingerle a dormire a turni e da creare condizioni igieniche disumane: l’uso del bagno – racconta – era consentito una volta ogni 12 ore e la doccia una volta ogni 40 giorni.
La storia di Zahira, insieme a quella di altre otto donne siriane fra i 30 e i 45 anni di età al momento della detenzione, è stata pubblicata in un rapporto di una ong siriana, Lawyers and Doctors for Human Rights (LDHR), dedicato alle detenute siriane e agli abusi sessuali e torture subite in prigione. Il dossier, intitolato Voices in the Dark, è stato stilato seguendo la metodologia del ‘Protocollo di Istanbul‘ delle Nazioni Unite sulla documentazione delle torture. “Questa può essere la più importante prova che avete, ci hanno detto avvocati internazionali – ha dichiarato uno dei fondatori dell’associazione siriana, parlando al telefono da Gaziantep, in Turchia, con il giornale inglese The Independent – è una delle migliori possibilità che abbiamo per ottenere giustizia per questi crimini contro l’umanità”.
Secondo il Network siriano per i diritti umani, le donne attualmente detenute in Siria sono 7,571. Come Ayda – nome di fantasia – la cui storia è presente nel report, che aveva 34 anni quando è stata fermata a un checkpoint della guardia repubblicana ad Aleppo e portata alla sede della brigata. Arrivata, racconta la donna, è stata presa a bastonate in faccia e condotta nell’ufficio del capo sezione. Dopo averle legato le mani, i militari hanno cominciato a violentarla. Terminato l’abuso, i soldati le hanno sputato addosso, mentre era distesa inerme sul pavimento, gridando che era una terrorista. Trasferita alla sezione dei servizi della sicurezza politica, Ayda è stata nuovamente torturata, questa volta con il metodo della sospensione: i polsi legati e sollevata da terra di 10 cm per un’ora. Insieme a lei, legate al muro, c’erano altre donne.
In un’altra delle testimonianze del dossier, una donna incinta, arrestata perché il marito era sospettato di rifornire di medicinali i ribelli, ha descritto di aver visto trascinare corpi nei corridoi e lasciati in pozze di sangue. Mentre un’altra prigioniera ha ricordato di essere stata rinchiusa per sei giorni in una cella con un cadavere. Tutte le detenute, durante il periodo di prigionia, non sono state assistite da un legate e hanno subito violenza sessuale. The Independent, che ha ripreso e pubblicato alcune delle storie contenute nel documento, evidenzia che ci sono poche strade percorribili per istituire un processo per crimini contro l’umanità nei confronti del governo siriano, dato l’insuccesso delle Nazioni Unite nell’istituire procedimenti contro Damasco.
Proprio questa condizione ha spinto Carla Del Ponte, magistrato svizzero, a dimettersi, il 6 agosto, dalla Commissione d’inchiesta sulla Siria creata cinque anni fa dall’Onu. “Non abbiamo alcun potere e non c’è nessuna giustizia per la Siria – aveva dichiarato – né in Ruanda, né nell’ex-Jugoslavia ho mai visto cose così gravi come quelle che stanno accadendo in Siria. E’ una grande tragedia. E non esiste ancora un tribunale”.
Per questo motivo gli avvocati esperti di diritti umani hanno ripiegato verso tribunali nazionali. Nel marzo scorso, una corte spagnola ha accettato di ascoltare il caso di un autista di camion siriano torturato e ucciso dagli uomini del governo siriano perché la sorella, querelante, era in possesso della cittadinanza spagnola. Un caso analogo è avvenuto anche in Germania, dove sopravvissuti alle torture nelle carceri siriane stanno portando avanti un processo contro Damasco, grazie al sostegno di un’altra organizzazione non governativa tedesca – la European Centre for Constitutional and Human Rights. Anche la Lawyers and Doctors for Human Rights è fiduciosa di riuscire a portare i casi all’attenzione di qualche corte europea.
“C’erano molte donne fra le quali scegliere, con storie atroci, quando ci siamo messi a lavorare sulla compilazione di questo report – ha dichiarato un medico dell’associazione parlando con il giornale britannico – mi sono spesso sentito impotente durante la guerra. Questo dossier documenta la nostra storia, non importa quanto terribile, e forse è l’unico strumento che i siriani avranno per ottenere giustizia”. Una giustizia che può essere ottenuta, spiega la prima delle raccomandazioni nel preambolo del documento di LDHR, solo se la comunità internazionale “intraprenderà ogni possibile azione per garantire il rilascio di tutti i detenuti politici in Siria, ponendo la questione come punto prioritario”.