Dura accusa da parte dall’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Zeid Raad al Hussein, secondo il quale l'offensiva militare sembrerebbe avere l’obiettivo di liberare il paese dalla minoranza musulmana. E ordina di porre fine alle "crudeli operazioni militari"
Contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania, sembra essere in atto “un chiaro esempio di pulizia etnica“. È l’accusa di Zeid Ràad al-Hussein, l’Alto Commissario Onu per i diritti umani che si è appellato al governo birmano perché ponga fine alle sue “crudeli operazioni militari“. In Myanmar, nello stato del Rakhine, dove vive concentrata la popolazione, da fine agosto è in corso “un’altra brutale operazione di sicurezza” e “questa volta, apparentemente su una più ampia scala” rispetto al passato. Nell’intervento di apertura della 36esima sessione del Consiglio Onu per i diritti umani, Zeid Raad al Hussein ha messo in relazione la stretta militare all’obiettivo di liberare la Birmania dalla minoranza.
La crisi dei Rohingya, minoranza musulmana della Birmania da mesi in fuga verso il Bangladesh perché attaccata dall’esercito del Myanmar, peggiora di giorno in giorno. Secondo i calcoli dell’Onu, sono saliti ormai a 313mila i Rohingya arrivati in Bangladesh fuggendo dalle violenze scoppiate nel nordovest della Birmania. L’operazione in atto è una reazione agli assalti del 25 agosto, quando alcuni militanti musulmani Rohingya hanno attaccato diversi posti di blocco della polizia e una base dell’esercito, uccidendo 71 persone. Secondo Zeid la risposta del governo birmano è “chiaramente sproporzionata e priva di rispetto dei principi fondamentali del diritto internazionale“. Ma sarebbe solo l’irrigidimento di un’azione militare in atto da tempo. È in corso “un’altra brutale operazione di sicurezza ma questa volta, apparentemente su una più ampia scala”, ha denunciato.
L’Alto commissario ha ricordato che già lo scorso anno aveva messo in guardia sul “tipo di violazioni dei diritti umani contro i Rohingya che suggerivano un attacco diffuso o sistematico contro la comunità, verosimilmente equivalente a crimini contro l’umanità, se così stabilito da un tribunale”. La Birmania, però, ha da sempre “rifiutato l’accesso agli esperti di diritti umani” nel paese. Per questo “la situazione attuale non può essere ancora pienamente valutata – aggiunge Zeid- ma sembra un esempio da manuale sulla pulizia etnica”. L’Alto Commissario Onu per i diritti umani ha detto di essere “sconvolto” rispetto alla notizia trapelata nei giorni scorsi di mine anti uomo disseminate a confine con il Bangladesh, meta della popolazione Rohingya per sfuggire alle violenze dell’esercito birmano. Un viaggio senza ritorno, secondo Zeid. Perché ai rifugiati è consentito di tornare a casa solo se provano la loro nazionalità. “Una manovra cinica” alla luce del fatto che la maggior parte dei Rohingya non sono riconosciuti come cittadini birmani, e sono dunque apolidi. Un’azione che assume la forma di un “trasferimento forzato di un gran numero di persone senza possibilità di ritorno”
Una situazione critica, raccontata da diverse testimonianze. “Abbiamo ricevuto diversi rapporti e immagini satellitari di forze di sicurezza e milizie locali che bruciano i villaggi dei Rohingya e testimonianza di esecuzioni extragiudiziali, tra cui fucilazione di civili in fuga”. La denuncia di Zeid si accompagna alla richiesta al “governo birmano, che ha negato l’accesso ai nostri osservatori” di fermare “subito questa crudele operazione militare, sproporzionata e irrispettosa del diritto internazionale”. Alle autorità birmane che affermano di essere di fronte ad atti “terroristici”, l’Alto Commissario ha chiesto di “smettere di affermare” che i Rohingya stessi bruciano le loro case. “Questo è negare completamente la realtà ed è un grave danno alla credibilità internazionale del Myanmar”, ha detto. Stando ai dati ufficiali birmani, il bilancio è di circa 400 Rohingya morti.
Le parole di Zeid arrivano all’indomani di quelle del Dalai Lama, contro la violenza in Myanmar, paese a maggioranza buddista. La guida spirituale in esilio, il 10 settembre dalla contea di Londonderry, nel Regno Unito, ha mandato un chiaro messaggio davanti ad un pubblico di mille persone: “Lord Buddha avrebbe sicuramente aiutato i rohingya”. “La gente che sta attaccando alcuni musulmani – ha osservato rispondendo alla domanda di un giornalista – dovrebbe ricordare che Buddha, in simili circostanze avrebbe senza alcun dubbio aiutato quei poveri musulmani” in fuga. A fine agosto anche Papa Francesco aveva chiesto di “salvare i Rohingya perseguitati”.
Solo quattro giorni fa il premio nobel per la pace, e ministra degli esteri birmana, Aung San Suu Kyi aveva rotto il silenzio sulla questione Rohingya. Nel corso di una telefonata con Recep Tayyip Erdogan ha denunciato l’operazione di “disinformazione” da parte dei ribelli definiti “terroristi”, accusati di diffondere “un iceberg di informazioni” sul conflitto in corso. San Suu Kyi è stata molto criticata nelle ultime settimane per non essersi mai esposta sulla crisi umanitaria in corso. Nella telefonata la politica birmana si è scagliata contro la “campagna di stampa” per “promuovere gli interessi” del gruppo armato che combatte nello stato di Rakhine. “Conosciamo bene cosa significhi la privazione di diritti umani e protezione democratica” e “assicuriamo che tutte le persone sono protette nel Paese”, ha detto la consigliera di Stato della Birmania, e leader di fatto del paese, secondo quanto reso noto dal suo ufficio.