Ha perso 4-1. Ha giocato male, forse peggio di tutti, colpevole su due dei quattro gol subiti e ridicolizzato in almeno un altro paio di azioni. Ma dentro e fuori dal campo Leonardo Bonucci parla sempre da primo della classe. Non solo con i suoi compagni, di cui si è già (auto)proclamato nuovo leader in virtù del suo indiscutibile carisma. Persino con quelli dell’altra squadra, come quel ragazzaccio di Ciro Immobile ripreso più volte perché avrebbe mancato di rispetto agli avversari. La sua colpa? Alcune presunte giocate irriverenti (un paio di dribbling di troppo, un pallonetto da lontano), o forse più semplicemente aver segnato una tripletta e avergli fatto fare una figuraccia. Davvero inaccettabile: “Non si fa così, non si fa così”, la lezione di umiltà impartita dal professor Bonucci. Che della materia evidentemente se ne intende.
Lazio-Milan è stata un’altra di quelle partite significative d’inizio stagione (tipo Roma-Inter), che non determinano nulla per il campionato, ma danno delle prime indicazioni importanti. Il messaggio dell’Olimpico è stato chiaro: non basta spendere 200 e passa milioni per essere automaticamente favoriti per lo scudetto, nonostante tutti gli acquisti la rosa rossonera potrebbe ancora avere dei buchi importanti e comunque c’è da lavorare per diventare una squadra. Nulla di irreparabile, il Milan è solo tornato un po’ coi piedi per terra. Bonucci no, come dimostra quell’inutile battibecco finale con Immobile, frutto forse solo del nervosismo di una sconfitta pesante, o di quella tendenza sempre più accentuata a dover dire sempre la sua.
Perché lui è il capitano, “sposta gli equilibri”, “ha le palle”. In pieno delirio di onnipotenza, dopo il clamoroso trasferimento di quest’estate, il difensore rossonero negli ultimi tempi ha moltiplicato le dichiarazioni roboanti. Poi però sul campo le cose sono andate diversamente. Non solo ieri all’Olimpico: anche nelle precedenti uscite un po’ traballanti in rossonero, o con la maglia della Nazionale (anche lui è stato uno dei protagonisti negativi del naufragio contro la Spagna).
Prestazioni che sollevano un dubbio: che non avessero poi così torto i tifosi juventini, quando da amanti traditi avevano sminuito la sua partenza sostenendo che era la Juventus la vera forza di Bonucci, e non viceversa. Di sicuro Barzagli e Chiellini sono stati qualcosa in più che dei semplici alfieri. E lui per anni ha giocato in una squadra che esaltava i suoi pregi e nascondeva i suoi difetti: nella Juventus, che passa in media il 70% delle partite nella trequarti avversaria e domina su ogni campo d’Italia, lui col suo carisma e il suo piede da regista arretrato era davvero un valore aggiunto. In un’altra squadra, costretto a difendere come uno stopper qualsiasi, i suoi limiti in marcatura rischiano di venire a galla.
Ma per ora è solo un piccolo tarlo, nell’orecchio soprattutto dei suoi detrattori. Bonucci viene da sei anni in bianconero ad altissimo livello, è considerato a buon diritto uno dei difensori più forti del mondo. E forse per riprendersi da una giornata storta basterà tornare alle origini: come ha raccontato spesso, ai tempi del difficile inizio alla Juventus è stato fondamentale il lavoro psicologico con il suo motivatore personale per convincersi di poter giocare a quei livelli e diventare leader della squadra che fu prima di Conte e poi di Allegri. Ecco, magari basteranno un paio di sedute con il mental coach per risolvere il problema. Facendo il percorso contrario, però: ricordarsi di essere un po’ più difensore, e un po’ meno fenomeno.
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