Avere 23 anni e tra le mani una startup valutata da un finanziatore tedesco mezzo milione di euro. In due settimane, chiudere la propria vita in provincia di Padova e ritrovarsi a cercare casa a Berlino, con la consapevolezza di “avere provato in tutti i modi a rimanere in Italia” ma che nel proprio Paese quello stesso progetto non era mai riuscito a diventare un lavoro. Questa è la storia di Gianluca Segato, fondatore di Uniwhere, un’app che consente agli studenti universitari di gestire la propria carriera accademica suggerendo i futuri passi nei loro studi, fornendo un calendario per pianificare le lezioni e bot intelligenti per rispondere alle domande degli studenti.
“Se fossi rimasto in Italia Uniwhere sarebbe rimasta un progetto amatoriale e provinciale”. In Germania, invece, è diventata un’azienda, finanziata, professionale, con la concreta possibilità di diventare uno strumento in grado di raggiungere e aiutare moltissimi studenti. “Berlino ha offerto soldi ma non è stato tanto questo il punto che ci ha spinto a venire qui. In Italia non c’è mai stata concretezza né ambizione”, racconta il laureato padovano in Economics and Management. “Tante pacche sulle spalle ma praticamente nessuno disposto a rischiare: un enorme attaccamento allo status quo, al ‘non ha senso prendersi il rischio di cambiare, che non sai mai cosa succede’, una incapacità di innovarsi, soprattutto da parte delle università italiane, più volte avvicinate ma che non hanno mai dimostrato apertura verso il progetto”.
Berlino ha offerto soldi ma non è stato tanto questo il punto che ci ha spinto a venire qui. In Italia non c’è mai stata concretezza né ambizione
Il paradosso è che la app del 23enne di Vigonza, nel Padovano, non si può dire che non sia piaciuta alle università italiane e agli studenti, visto che è presente in 55 atenei, tra cui Milano Bicocca, Bologna, Trento e Venezia, mentre a Padova è utilizzata da più del 50% degli studenti. Conti alla mano, sono più di 120mila gli studenti italiani ad utilizzarla, eppure è stato completamente inutile cercare i primi finanziamenti in Italia. “Abbiamo provato anche a farci notare a concorsi ed eventi, sia privati che pubblici, ma nessuno ci ha mai calcolato di struscio”. A quel punto, ha iniziato a sorgere il dubbio che fosse l’ambiente a non capire il potenziale del progetto, dopotutto l’Italia non è certo nota per avere messo sul mercato startup di successo internazionale.
Lo sguardo si è rivolto all’estero e agli investitori stranieri. “Abbiamo mandato richieste in tutta Europa: sono bastate due settimane per ricevere proposte da Spagna, Svezia, Germania e Olanda. Abbiamo scelto Berlino perché in questo momento è la Silicon Valley europea”. E mentre in Italia il presidente di un famoso gruppo di investitori si era rifiutato perfino di parlare con Gianluca, WestTech Ventures, il primo fondo che ha creduto nel progetto, ha investito in Uniwhere senza neppure incontrare il 23enne, ma con accordi presi via mail e Skype. Tanto che da ottobre 2017 il progetto sarà lanciato anche a Monaco, per poi sbarcare non solo in altre università tedesche, ma anche in Spagna e in Francia.
Abbiamo scelto Berlino perché in questo momento è la Silicon Valley europea
L’anno berlinese non è certo stato privo di soddisfazioni per il 23enne, che a novembre 2016 è stato invitato come speaker al Google Developer Group Festival di Berlino e lo scorso giugno al Microsoft Azure Meetup. Eppure, “non consiglierei a nessuno questo lavoro, e lo sconsiglio a tutti coloro – e ce ne sono tanti – che mi scrivono di volere aprire una startup all’estero”. Perché “gestire lo stress e la pressione di un progetto impegnativo e rischioso lontano dalle persone care” non è facile, e significa “sacrificio, con il rischio di guadagnare, almeno all’inizio, assai poco”. Tuttavia, ci sono persone che non possono fare a meno di lavorare alla propria startup. “A loro, e solo a loro, consiglio di iniziare subito e di non aspettare”.
Dietro Uniwhere, accanto a Gianluca anche Federico Cian – classe 1983, con una laurea magistrale in Ingegneria informatica a Padova – e Giovanni Conz, ingegnere informatico che vive a Padova, dove i tre ragazzi hanno mantenuto lo sviluppo della startup. “Giovanni ha 12 anni più di me e quando ero ancora bambino mi ha insegnato a programmare. È stato naturale per me rivolgermi a lui quando il progetto mi è letteralmente esploso in mano, ovvero quanto migliaia di studenti hanno cominciato a utilizzare l’app”. Si racconta da Prenzlauer Berg, il giovane padovano, dal suo quartiere a nord-est di Berlino, a un quarto d’ora in bici da Alexander Platz. E deve avere del paradossale andare via da un Paese che non ha saputo credere in te, “dove non c’è una vera cultura per le startup e si fa di tutto per non aiutare” i giovani talenti e, dopo pochi mesi, essere premiato a Berlino come italiano dell’anno “per la creatività imprenditoriale e la valorizzazione del made in Italy digitale”. Un premio consegnato in ambasciata a marzo 2017 dal Comitato italiani all’estero e dall’ambasciatore in Germania.
Sai cosa mi preoccupa? Il fatto che sempre meno persone, per non dire nessuno, vogliono venire a vivere in Italia
Nel suo discorso di ringraziamento in ambasciata, Gianluca ha voluto sottolineare di “non essere un cervello in fuga”. E questo per un semplice motivo: “Noi siamo cittadini europei. Noi siamo la generazione Schengen, la generazione Erasmus. E così come dal Veneto avremmo potuto trasferirci a Milano, dall’Italia ci siamo trasferiti a Berlino, ed è la stessa cosa ed è giusto così, perché siamo prima di tutto europei”. Poi ci riflette un attimo in più, e si domanda. “Sai cosa mi preoccupa invece? Non tanto i giovani italiani che vanno a vivere all’estero, quanto il fatto che sempre meno persone, per non dire nessuno, vogliono venire a vivere in Italia”.