L’intesa è particolarmente importante perché l’ex monopolista che fa capo ai francesi di Vivendi potrà diventare rapidamente operativo nel posare la fibra in interstizi già esistenti. In questo modo, risparmierà sui costi degli scavi, che possono rappresentare fino all’80% degli investimenti necessari a realizzare una rete di nuova generazione
Tim raggiunge il primo accordo-quadro con 500 municipalizzate per lo sviluppo della rete in fibra. E anticipa la rivale Open Fiber nella corsa per accaparrarsi gli spazi del sottosuolo a disposizione delle multiutility italiane. Nel mezzo della battaglia che vede il governo vicino alla società di Enel e Cassa Depositi e Prestiti, l’ex monopolista controllato dai francesi di Vivendi segna un punto a suo favore chiudendo un’intesa con l’associazione che riunisce le partecipate degli enti locali, Utilitalia, per “facilitare l’utilizzo di infrastrutture preesistenti (tubi, cavidotti e reti dell’illuminazione pubblica)”. L’accordo non è esclusivo. E quindi potrà essere replicato da Open Fiber. Ma la velocità è tutto e alla Tim questo lo sanno. Non a caso stanno già lavorando ad un tavolo comune con i rappresentanti di Utilitalia per discutere i progetti futuri. L’intesa del resto è particolarmente importante perché l’azienda potrà diventare rapidamente operativa nel posare la fibra in interstizi già esistenti. In questo modo, risparmierà sui costi degli scavi, che possono rappresentare fino all’80% degli investimenti necessari a realizzare una rete di nuova generazione.
“Si tratta del primo accordo-quadro, non esclusivo, che in attuazione del decreto legislativo 33/2016 definisce una procedura unica immediatamente operativa e applicabile a livello nazionale per regolare le operatività per l’accesso e il coutilizzo delle infrastrutture delle aziende aderenti alla federazione”, spiega una nota di Tim. All’interno dell’accordo-quadro si definiranno i rapporti con le singole partecipate pubbliche. A Milano, ad esempio, Tim ha già chiuso un accordo con A2A, mentre a Roma Open Fiber sta trattando con Acea.
Certo la procedura sarebbe stata nettamente più trasparente ed economica con una mappatura pubblica dei cavidotti del sottosuolo. Il catasto pubblico delle infrastrutture sotterranee (Sinfi), frutto della direttiva europea 61 del 2014, è rimasto però una grande incompiuta del governo Renzi. Nato formalmente a maggio dello scorso anno all’interno della società pubblica Infratel, il Sinfi doveva obbligare le “amministrazioni pubbliche titolari e detentrici di informazioni – sul sottosuolo – gli operatori di rete e i gestori di infrastrutture fisiche a fornire dati sulle infrastrutture sotterranee”, come si legge sul sito Infratel. Nella realtà non è ancora operativo: il Sinfi ha raccolto alcuni dati, ma non ha ancora realizzato una mappatura completa delle reti rendendo più difficile la vita agli operatori che stanno investendo in fibra. Soprattutto ad Open Fiber che utilizzerà soldi pubblici per posare la fibra scavando a terra dove magari già esistono cavidotti facilmente utilizzabili per far passare la rete di nuova generazione. Il lavoro peraltro deve ancora iniziare: il primo cantiere doveva partire a luglio grazie a 1,4 miliardi della prima gara Infratel relativa ai lotti di Abruzzo, Molise, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana e Veneto. Ma poi l’inizio degli scavi è slittato sine die. A tutto vantaggio di Telecom che intanto muove le sue pedine.