Tornare a scuola sì, con la paura. Sapendo che non è poi così irrazionale, che è già successo e che ora ci sono numeri e indicatori incofutabili a dire quanto si mette a rischio la vita dei propri figli varcando quel portone. Numeri noti a molti, salvo a chi corre quei rischi. E che anche una volta emersi, nonostante molte promesse, non bastano a evitare la riapertura degli edifici più esposti. Succede nella terra del Rigopiano, in Abruzzo, la regione che ha subito alcuni tra i più tremendi terremoti d’Italia, da quello della Marsica (1915) a quello dell’Aquila (2009) dove il 90 per cento delle scuole sono ancora insicure. Proprio così: insicure. Il dato scandaloso emerge non già dalla doverosa opera di verifica e informazione delle autorità e degli organismi pubblici che hanno in carico la sicurezza di bambini e ragazzi a loro affidati dalle famiglie, ma da una faticosa opera di ricognizione che il giornale Il Centro ha fatto su 417 schede di vulnerabilità sismica di altrettanti edifici scolastici – primarie e secondarie – depositate negli uffici della Regione Abruzzo. Sono circa un terzo delle scuole ma il dato è già desolante, specie se arriva a ridosso dell’apertura dei portoni per il nuovo anno: 391 edifici, pari al 93 per cento, sono a rischio sismico. “Non siamo carne da macello”, recita uno striscione affisso dai genitori ai cancelli del liceo Cotugno dell’Aquila, che con un indice di rischio elevato li ha aperti regolarmente, come se il problema neppure ci fosse. Come tutti gli altri istituti d’Abruzzo, del resto.
La mappa del rischio. Le riaperture e la politica dello struzzo
Nel dettaglio 90 istituti nel Teramano, 90 nell’Aquilano, 54 nel Pescarese e 157 nel Chetino, la provincia abruzzese con il maggior numero di scuole. La classificazione è fatta in base alle schede aggiornate dal Dipartimento regionale della Protezione Civile al 25 luglio scorso che il Centro pubblica sul proprio sito (www.ilcentro.it). Il criterio di vulnerabilità sismica è determinato da un indice con l’acronimo Slv “salvaguardia della vita” che è inversamente proporzionale al rischio: più il valore è basso, maggiore è la vulnerabilità. Lo stato di insicurezza massima è sintetizzato col numero zero. L’uno invece è sinonimo di sicurezza. Ebbene dalla ricognizione su tutte e 417 le schede 52 edifici sono risultati con un indice preoccupante perché pari o prossimo allo zero, al contrario 59 hanno indice pari a uno che significa una buona se non ottima difesa contro il terremoto ma – si legge nell’inchiesta – “tra queste due situazioni estreme, negativa da un lato e positiva dall’altro, in Abruzzo c’è una vasta terra di mezzo composta da ben 306 edifici parzialmente sicuri o insicuri”. Anche perché in Abruzzo il problema delle scuole è stato sempre sottovalutato dalla politica. In Emilia Romagna i primi soldi arrivati sono stati utilizzati proprio nelle scuole mentre in Abruzzo in generale no, le scuole vengono dopo. Così da Il Centro e dall’associazione e dall’Associazione scuole sicure Abruzzo Italia è partita una campagna per convincere presidi e sindaci a esibire i certificati di vulnerabilità sismica il primo giorno di scuola. E a chiuderle, se massimo. All’apertura avvenuta ieri però la delusione: dopo tante promesse gli indici di rischio non sono stati esposti all’ingresso degli edifici né mostrati ai genitori che ne hanno fatto richiesta. E i portoni si sono riaperti come nulla fosse, anche nell’edificio più a rischio di tutti, l’Itis Luigi di Savoia di Chieti (1.700 studenti). “Per non turbare le famiglie”, è stata la spiegazione di molti. E’ la politica dello struzzo, l’interpretazione malevola.
Scandalo nazionale di cui poco si parla. E infatti si ripete
Dall’Abruzzo, una regione già sensibile e sensibilizzata al tema, dove le scosse sono ancora all’ordine del giorno, arriva dunque questa sberla sulla sicurezza degli edifici scolastici. Che potrebbe risuonare anche più forte se solo l’indagine fosse estesa a tutti i 43.072 sparsi per lo Stivale. A partire dall’Irpinia, magari, dove il terremoto del 1980 ha fatto 2.570 vittime ma ancora oggi – secondo l’ultimo dossier di Legambiente su dati Miur – a 30 anni da quel sisma, l’indice di rischio delle scuole nelle province più colpite è assolutamente in linea con la media nazionale, come non fosse la zona sismica d’Italia che ha dato il maggior tributo di sangue all’instabilità della terra negli ultimi 100 anni: ancora oggi solo il 20% delle scuole è costruito con criteri antisismici e solo sul 28,3% degli edifici è stata eseguita la verifica di vulnerabilità antisismica. Insomma, può caderti il mondo addosso ma dalle tragedie non s’impara nulla, come ben dimostra anche la declassificazione post-sisma di molti comuni italiani. Tra i tanti si contano anche 39 comuni irpini che ne fecero richiesta a un mese di distanza dalla loro classificazione, avvenuta in seguito al terremoto del 21 agosto 1962. In fondo era solo un nono grado della scala Mercalli: “scossa distruttiva”, proprio come all’Aquila. Non a caso è la stessa lezione di protervia che impartiscono oggi le scuole dell’Abruzzo.
La scuola del 1915? E’ più sicura di quella del 1976
Il pregio dell’inchiesta giornalistica rispetto ad altri dossier è che i dati non sono aggregati (per città, provincia o regione) ma sono puntuali scuola per scuola, così che ogni genitore possa sapere come stanno le cose mentre lascia i figli in una struttura che la stessa Regione definisce “a rischio sismico”. E decidere, a questo punto, se farlo. Detto che molte schede non sono risultate aggiornate e trasmesse, come accerterà Il Centro, il risultato dell’indagine è che una scuola su dieci è a rischio. Tra le più vulnerabili – con indice di rischio “zero” – ci sono il Liceo Scientifico Patini di Castel di Sangro costruita nel 1971 per il quale la Provincia dell’Aquila non ha inviato la scheda ricognitiva 2017. E la scuola dell’Infanzia di Gioia dei Marsi del ’60. Per la provincia di Pescara spiccano per pericolosità la primaria Piano Fara di Rosciano e i 9 corpi del Liceo Marconi del capoluogo. La Regione ha 99 schede tecniche riferite al Teramano. Ma quelle sicure, con indice uno, sono solo 9. Nella statistica che ne viene fuori fa un certo effetto constatare come il liceo di Delfico a Teramo, costruito nel 1915 e dunque 60 anni prima della normativa antisismica del 1974, possa vantare oggi un indice di pericolosità (0,460) inferiore alla primaria e secondaria di Giulianova (0,29) costruita 61 anni dopo, nel 1976, e cioè due anni dopo l’entrata in vigore della normativa stessa.
All’appello manca il 50% delle schede di vulnerabilità – C’è un altro dato dell’inchiesta del Centro che colpisce. Dei 1.287 edifici scolastici abruzzesi solo un terzo è censito da un punto di vista sismico dalla Regione. Sono infatti 417 le schede di vulnerabilitàdelle scuole, aggiornate dal Dipartimento regionale della Protezione civile sino al 25 luglio scorso. Perché? Le schede sono state predisposte dalla Regione attraverso gli invii a Comuni e Province d’Abruzzo, enti proprietari e quindi responsabili del vasto patrimonio immobiliare scolastico, di moduli per la ricognizioni dei dati sulla vulnerabilità. Di questi moduli, però, solo 217, cioè il 50 per cento, sono tornati in Regione compilati dei dati sullo stato di salute delle scuole. Un numero significativo perché l’obbligo è derogabile solo in caso di edifici costruiti dopo il 1984 e solo se progettati ai sensi delle norme tecniche di costruzione in vigore dal 2008, sempre che il comune di ubicazione non abbia nel frattempo subito una variazione della classificazione sismica. Una mosca bianca, insomma. Significa che da parte di sindaci e presidenti delle Province c’è uno scarso spirito di collaborazione. Questo per dire che le responsabilità sono stratificate a molti livelli ma quella dei politici locali è particolarmente grave: metà di loro sa benissimo che la situazione può essere grave e resta inerme, e tuttavia riapre le porte. Questo, a ben vedere, è il cuore stesso dello scandalo: anche se una scuola ha un indice rischio massimo, pari a zero nell’indicatore tecnico, non c’è norma che ne imponga la chiusura. Solo in caso di crollo o in cui il pericolo sia manifesto. “L’ho chiesto a Errani, poi l’ho chiesto a Gentiloni che mi ha detto di chiederlo alla Regione, che ancora non mi risponde. E così il cerino resta in mano ai sindaci”, spiega il sindaco di Teramo, Maurizio Brucchi. L’edificio in questione – in caso di scossa – resta appiccicato alla fortuna.
La campagna per i certificati. “I genitori devono sapere” – “I genitori devono sapere se la scuola è sicura”, è stato l’appello di Antonio Morelli, padre di San Giuliano di Puglia che 15 anni fa ha perso la figlia di sei anni sotto le macerie della scuola crollata. “Devono chiedere e ottenere le certificazioni. Se risultasse che la scuola non ha requisiti terrei i miei figli a casa”. E dal giorno dopo sono arrivate le adesioni di molti dirigenti scolastici. “Lo faremo”, ha risposto l’indomani Loredana di Giampaolo, dirigente del liceo Delfico di Teramo che ha aderito all’appello (ha un indice di vulnerabilità sismica dello 0,46, non il massimo ma non male grazie a 470mila euro di lavori e un milione e due di opere da eseguire). E a seguire, con effetto a catena, i sindaci di Teramo, Chieti, Pescara, Giulianova, Sulmona, Avezzano e altri comuni così come i presidenti delle province di Teramo e dell’Aquila si sono impegnati a mostrare i certificati a tutti i genitori che ne faranno richiesta. Claudia Lattocco, geologo e componente dell’Associazione Scuole Sicure Abruzzo Italia (Assai) che rappresenta un migliaio di famiglie sparse in tutta la Regione è tra i tanti che alla vigilia della riapertura hanno chiesto di non far riaprire le scuole a rischio (il 16 settembre presso la sede della Provincia di Teramo si terrà un convegno su scuole e rischio sismico). “Per noi le scuole da chiudere sono quelle che hanno un indice di vulnerabilità inferiore a 0,3. In Abruzzo sono 360”. Ma hanno riaperto, regolarmente, come auspicato dal governatore Luciano D’Alfonso. E quasi nessuno, nonostante le promesse di sindaci e presidenti di provincia, ha esibito ai genitori i famosi certificati di vulnerabilità sismica che per altro saranno obbligatori dal 31 agosto 2018, come prevede l’articolo 20 del decreto terremoto, per tutti gli edifici scolastici che si trovano in zona sismica 1 e 2.
“Meglio non chiuderle, servono 150 milioni” – “Abbiamo un fabbisogno di altri 150 milioni di euro, da aggiungere ai 110 già dati, per fare in modo che le scuole possano diventare sicure”, ha però spiegato d’Alfonso. “Noi sappiamo che c’è un doppio valore che il legislatore ha firmato: l’adeguamento sismico e il miglioramento. Dobbiamo lavorare per il miglioramento. Su questo fronte possiamo cominciare a essere fiduciosi quando superiamo la soglia dello 0,4”. Ma sui numeri proprio non ci siamo. “Si è sicuri dallo 0,6 in sù”, dicono gli esperti come l’ingegnere civile-strutturista, Roberto Bove che sarà al convegno di sabato dell’Assai: “Oltre all’indice di vulnerabilità vanno tenuti poi in conto l’aspetto realizzativo, quello geotecnico, relativo alla situazione del terreno e, infine, il non aver vizi esterni. Si può costruire la scuola più sicura del mondo ma se poi c’è un muro accanto che gli cade sopra tutto è vanificato. Al discorso della sicurezza”, dice Bove a Il Centro, “quindi concorrono più aspetti altrimenti tante scuole sarebbero da chiudere. Così non è facile dare dei numeri certi sull’indice ideale. Per esempio dopo il terremoto dell’Aquila la Protezione civile si è data come limite almeno uno 0,60 fino allo 0,80. Diciamo che un minimo sindacale può esser proprio lo 0,60 che però, bisogna precisare, all’Aquila venne stabilito per gli edifici residenziali”. Le scuole abruzzesi, secondo l’indagine, sono però messe così. All’Aquila sulle 102 schedate 90 hanno un indice sotto quella soglia (11 hanno indice pari a zero). A Teramo sono 90 su 99, 10 in particolare hanno un indice pari o prossimo allo zero. A Pescara su 58 scuole, 54 hanno indice sotto lo 0.6 e 11 pari o prossimo a zero. Chieti, 191 scedate, 157 sotto l’asticella (e di queste 20 pari o vicino allo zero). Questo porta a dire che mediamente, in Abruzzo, 9 scuole su 10 sono insicure.