Quasi 4mila lungo il Maggiore, oltre 500 lungo l’Ardenza. Il Comune di Livorno sapeva quante persone si trovavano in aree ad alta pericolosità idraulica, vicino al Rio Ardenza e al Rio Maggiore, i ruscelli diventati per una notte fiumi in piena e assassini. Quei numeri sono contenuti in uno schema del piano della Protezione Civile. Si chiama, con eccesso di burocratese, Manuale delle procedure operative specifiche in fase di emergenza. Il piano è stato elaborato per essere revisionato con un lavoro lungo un paio d’anni. Il precedente è del 2011 e aveva una durata stimata di 5 anni quindi si può considerare “scaduto“. Da allora molto è cambiato: alcune leggi, per esempio, poi i dispositivi della macchina dell’emergenza, gli standard della Regione, ma anche il clima: dal 1921 al 1994 la media della piovosità a Livorno è stata di 797 millimetri all’anno, che si è alzata a 920 negli ultimi 15 anni fino a sfondare in qualche annata anche quota mille.
La revisione del piano, tuttavia, si è fermata all’elaborazione e all’approvazione in giunta comunale, avvenuta a gennaio. Da allora non è mai passato al voto del consiglio comunale. “Perché non è mai stato calendarizzato” è la risposta dello staff del sindaco Filippo Nogarin che in giunta ha le deleghe alla Protezione Civile. Il piano, all’epoca, è stato firmato da Leonardo Gonnelli, geologo per anni dirigente dell’ufficio Ambiente e alla guida della Protezione Civile livornese: dagli inizi di agosto è stato trasferito all’ufficio mobilità. Da poco più di un mese il capo della Protezione civile è diventato Riccardo Pucciarelli, comandante della polizia municipale da 24 anni, anche se nei Comuni è il sindaco – soprattutto dopo l’approvazione di una nuova legge del 2012 – la figura che assume “la direzione dei servizi di emergenza che insistono sul territorio del Comune e il coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alle popolazioni colpite”.
Il piano di protezione civile non è la ricetta che salva il mondo, soprattutto quando si tratta di un evento senza precedenti per potenza (i 230 millimetri d’acqua caduti in poche ore), accelerazione degli eventi e forza di devastazione. Non lo è in una situazione per cui non esiste il rischio zero e l’unica via è la sua “mitigazione”, cioè il tentativo di ridurlo al minimo possibile. Non lo è perché anche ciò che ha funzionato alla perfezione secondo le regole dell’ingegneria – cioè le casse di espansione del rio Maggiore costruite una decina d’anni fa -, si è rivelato comunque non all’altezza. Non lo è perché un fiume interrato che esplode e riempie il piano terra di una villetta liberty non è uno scenario prevedibile.
Ma il piano resta lo strumento principale, unico, per organizzare e regolare la prevenzione dei rischi oltre al (o anche più del) coordinamento dei soccorsi. Anche per questo, per la prima volta, il piano è stato realizzato con un percorso partecipato insieme alle associazioni di volontariato (Pubblica Assistenza, varie Misericordie, Croce Rossa) che hanno mezzi e uomini per intervenire sulle emergenze per maltempo, incendi, terremoti. “Sarebbe un grave errore concettuale – diceva il Comune alla presentazione del piano – ammettere di poter trovare una risposta ad ogni sollecitazione in questo documento poiché l’imprevisto o meglio la situazione imprevedibile è parte integrante della Protezione Civile. Se c’è una cosa che ci ha insegnato il tempo e l’esperienza trascorsa in questo settore è che fenomeni quantomeno confrontabili, hanno dato luogo a scenari di evento profondamente diversi e distanti tra di loro, ciò a riprova che innumerevoli sono le variabili che compongono un’emergenza e che ciò che conta in questi frangenti sono le ‘sfumature’, dettagli che il sistema di protezione civile deve saper cogliere e possibilmente anticipare con la logica della migliore flessibilità possibile”. Imprevisto, imprevedibile, variabili, sfumature, flessibilità.
Resta da capire se questo sistema flessibile è stato applicato anche nella cascata d’acqua che tre notti fa ha sconvolto Livorno. Ilfatto.it ha chiesto al sindaco Filippo Nogarin se la Protezione Civile di Livorno poteva, sì, superare l’allerta arancione (non massimo, anche se elevato) diramato dalla Regione Toscana e decidere in autonomia di mettere in campo un’organizzazione per evacuare le persone in zone a rischio. Il sindaco ha risposto di non avere strumenti per valutare una situazione di pericolo crescente causata dai corsi d’acqua.
Esistono però vari documenti per i rischi eventuali anche perché il 9 per cento del territorio di Livorno è a elevata pericolosità idraulica. Il Manuale contenuto nel piano di protezione civile – elaborato a fine 2015 – mette nelle aree a rischio idraulico anche quelle ai lati del Rio Maggiore e Rio Ardenza. Le strade, innanzitutto. Tra quelle caratterizzate da “criticità dovute ad esondazioni e tracimazioni” ci sono tutte quelle intorno a viale Nazario Sauro e vicine allo stadio, compresa via Rodocanacchi, dove vivevano Roberto, Simone e Filippo Ramacciotti e Glenda Garzelli. Lo stesso vale per le strade di Collinaia ai lati dell’Ardenza e dei suoi affluenti, comprese via Sant’Alò, via Garzelli e via delle Fontanelle, dove abitavano le altre 4 vittime del disastro (Martina Bechini, Roberto Vestuti, Raimondo Frattali, Gianfranco Tampucci). Ma il piano va nel dettaglio fino a prevedere una tabella con il numero di abitanti nelle aree a rischio idraulico “elevato” o “molto elevato”. Lungo il rio Maggiore, per esempio, sono 3936 divise in 311 abitazioni: 3927 in zone a pericolosità idraulica elevata e altri 9 in zone a pericolosità idraulica molto elevata. Lungo il rio Ardenza, invece le persone che abitano in zone altamente sensibili sono 543 divise in 100 residenze esposte al rischio: 417 vivono in zone a rischio elevato, altre 126 a rischio “molto elevato”. Di tutte queste persone il Comune ha un’anagrafe, numeri di telefono, fissi e cellulari. Ma l’altra notte non è partito nessun avvertimento. “Lo abbiamo fatto – ha detto Nogarin – con l’applicazione”, cioè la app che un cittadino deve scaricare volontariamente dagli store per smartphone e che parla a tutti i cittadini e non ad alcune zone mirate.
Non è partito neanche il cosiddetto “Alert System“, un sistema che il Comune aveva presentato a fine 2014 spiegando che da quel momento sarebbe stato “in grado di comunicare in completa autonomia ed in totale sicurezza 24 ore su 24 effettuando telefonate sia a telefoni fissi che mobili”. Si trattava, si legge in un comunicato stampa dell’epoca, di un sistema capace di effettuare 200mila telefonate ogni ora (gli abitanti dell’interno Comune di Livorno sono meno di 170mila). “Al momento – spiegava la nota – sono già fruibili oltre 20mila numeri fissi di utenti iscritti agli elenchi di vari operatori”. Il sistema di allertamento telefonico – che è già partito da quasi 3 anni – era una delle novità presentate nel piano di protezione civile. “L’informazione alla popolazione è stata programmata, pianificata e strutturata” si leggeva sempre tra i comunicati del Comune e “deve essere articolata e organizzata per specifici e diversificati target della popolazione”. Infine alcune associazioni di volontariato – che di solito si muovono insieme alle strutture del Comune durante le emergenze – sostengono di non essere state coinvolte dalla Protezione civile comunale né coordinate in un sistema organico almeno fino al mattino della domenica, dopo la piena.
Tutto d’altra parte gira all’approccio della macchina della Protezione Civile prima e durante il temporale. Da una parte il sindaco dice che non ha strumenti per monitorare l’effetto che il maltempo provoca sui corsi d’acqua pericolosi che scorrono nel proprio Comune. Dall’altra il codice arancione della scala di allerta della Regione Toscana – il secondo livello su quattro – non ha fatto sì che scattassero alcune misure. Il sindaco, parlando con il Tg2, ha ribadito la sua difesa: “Era l’ennesimo allerta di questo genere e già 8 giorni prima era successo, come tante altre volte, che non venisse giù nemmeno una goccia”. Quindi questa volta ha deciso di non applicare ciò che è previsto dal piano in caso di scenario da “codice arancio” nel quale sono previsti “fenomeni più intensi del normale, pericolosi sia per l’incolumità delle persone sia per i beni e le attività ordinarie”. Cosa bisogna fare in quel caso? Il piano elenca: la presenza del tecnico reperibile in sala operativa comunale, il personale in assetto di protezione civile, attivazione del Centro Situazioni (che garantisce la reperibilità H24 e gestisce monitoraggio, ricezione e verifica delle segnalazioni), comunicati stampa, invio di messaggi alle funzioni di supporto (cioè i vari segmenti della Protezione civile: dal censimento all’assistenza sociale), dirigenti dei dipartimenti, associazioni di volontariato, centrale della polizia municipale, aziende di servizio rifiuti, gas, acqua. “Sentito il sindaco – conclude il piano – verrà attivato il sistema di allertamento telefonico alla popolazione”.