Saad Hamid, funzionario del ministero degli Interni iracheno, ha fornito il primo dato ufficiale e ha aggiunto che sotto le macerie ci sarebbero ancora fra i 400 e i 500 corpi. Comincia la ricostruzione della città dopo otto mesi di assedio, tra mancanza di attrezzatura e tensioni confessionali: oltre al danno umano, ci sono i costi materiali, circa un miliardo di dollari
Sono 2100 i cadaveri trovati sotto le macerie degli edifici di Mosul, in Iraq. Lo ha dichiarato venerdì scorso Saad Hamid, funzionario del ministero degli Interni iracheno. Le operazioni di recupero sono cominciate nel luglio scorso, dopo che la parte occidentale della città, ultima roccaforte dei fondamentalisti dello Stato Islamico che per diversi anni l’avevano eletta a loro capitale irachena, è stata riconquistata nel mese di giugno dalle forze federali irachene, sostenute da un variegato fronte di milizie armate sciite e sunnite, al termine di una battaglia lunga otto mesi.
Secondo Hamid, sotto le macerie ci sarebbero ancora fra i 400 e i 500 corpi. “La mancanza di attrezzature e vari problemi di sicurezza, causati da membri dell’Isis che sparavano da nascondigli, bunker, gallerie o scantinati – ha spiegato il funzionario del ministero dell’interno, parlando all’agenzia governativa turca Anadolu – hanno ostacolato le squadra di soccorso”, soprattutto durante le prime fasi dell’operazione.
Una stima dei corpi imprigionati sotto i detriti era già stata resa nota il 9 agosto scorso. Mohamed Abdul-Sattar al-Hamadani, comandante della terza divisione della protezione civile irachena, dipendente dal ministero degli interni, aveva reso noto che “sotto le macerie della parte vecchia della città, nel settore occidentale, c’erano almeno 3mila corpi”. E che fino a quel momento, negli altri quartieri della città, erano stati recuperate 893 salme. “Alcuni cadaveri – aveva spiegato al Hamadani – sono stati riesumati dai trattori mentre rimuovevano le macerie: questo per via dell’inadeguatezza dei volontari che non conoscono le procedure di recupero delle salme da sotto i detriti”, prodotti dai mesi di bombardamenti sui quartieri abitati.
Presi di mira dai raid della coalizione internazionale a guida Usa, i combattenti dell’Isis a terra hanno portato avanti una strenua difesa attraverso la costruzione di tunnel e obbligando a combattere gli abitanti dei quartieri sotto il loro controllo. Ma a pesare sui civili è stato sopratutto il lungo assedio a cui sono state sottoposte le aree controllate dagli uomini di al Baghdadi: un isolamento che ha provocato la drastica diminuzione dei beni di prima necessità e spinto gli abitanti – secondo testimonianze di aprile scorso – a nutrirsi mangiando cani e gatti.
Oltre al danno umano, ai morti si aggiungono circa un milione di sfollati suddivisi in vari campi di prima accoglienza, quello materiale: il costo per la ricostruzione delle infrastrutture della città è stato quantificato dalle Nazioni Unite in circa un miliardo di dollari. Ma il percorso per rimettere in piedi Mosul si intreccia ai contrasti nazionali. La partecipazione delle milizie sciite e di quelle curde – i peshmerga fedeli al governo autonomo di Erbil, nell’Iraq del nord – alla battaglia per la liberazione della città, ha accentuato le tensioni confessionali ed etniche che rendono difficile la ricostruzione dell’antica convivenza.