Filippo Bertolami non è un poliziotto qualunque. Da sindacalista ha fatto denunce scomode sulla gestione della polizia, specie all’epoca di Gianni De Gennaro, Antonio Manganelli e Alessandro Pansa: sprechi, utilizzo di beni, promozioni di agenti condannati. Ora è stato sospeso per undici mesi complessivi perché non avrebbe stampato un documento e perché non si sarebbe recato nell’ufficio del superiore
“Stamattina mi hanno ritirato pistola, manette e tesserino a seguito del ‘verdetto’ a firma del Capo della Polizia, Franco Gabrielli, con cui sono stato sanzionato disciplinarmente a undici mesi di sospensione”, scrive così il vice-questore Filippo Bertolami. Alla fine è andata così: ha pagato lui, il poliziotto scomodo che ha denunciato tanti mali della polizia. Proprio poche settimane dopo che sono rientrati in servizio i poliziotti condannati per il G8. Tutti protagonisti di carriere fulminanti mentre erano in corso i processi. Per loro spesso nessuna sanzione disciplinare. In un caso appena 47 euro.
Bertolami invece è stato punito. Proprio lui che, oltre alle carriere dei condannati del G8 e dei protagonisti del caso Shalabayeva, denunciò altri casi: “Nel 2012 ci fu la selezione per 54 posti al corso di formazione dirigenziale (1.600 candidati): 26 funzionari selezionati compirono balzi fino a 800 posti in graduatoria. Tra i selezionati risultavano indagati e protagonisti di casi di cronaca non esaltanti. Spiccavano un funzionario condannato a 1 anno e dieci mesi per il porto d’armi ad Andrea Calderini che compì una strage a Milano, costato all’erario già oltre due milioni di euro in danni. Poi Massimo Improta, rinviato a giudizio (poi condannato in primo grado a 1 anno e tre mesi) per falso nella vicenda del pestaggio da parte della polizia del tifoso romano Stefano Gugliotta.
Filippo Bertolami non è un poliziotto qualunque. Da sindacalista ha fatto denunce scomode sulla gestione della polizia, specie all’epoca di Gianni De Gennaro, Antonio Manganelli e Alessandro Pansa. Le cronache ricordano le sue battaglie per lo stadio Olimpico di Roma allora non a norma, contro i privilegi e gli sprechi nelle scorte, contro il mobbing che avrebbero subìto investigatori troppo zelanti nella lotta alla criminalità organizzata.
Insomma, Bertolami è un “rompiscatole”: nei giorni in cui c’era chi magnificava i sistemi di videosorveglianza contro il terrorismo, lui invece raccontava con testimonianza e fotografie che gli apparati costati milioni di euro non funzionavano (e quindi la sicurezza rischiava di non essere garantita). Poi la gestione dei centri sportivi della Polizia di Stato, le condizioni di abbandono di strutture destinate a svolgere funzioni delicatissime per la sicurezza. Fino agli sprechi: i 100 milioni spesi ogni anno dalla polizia per carta e stampanti, quando le circolari da anni ribadiscono che bisogna stampare solo “i documenti strettamente indispensabili”. Da ultimo gli affitti della polizia: 45 milioni l’anno soltanto a Roma. Inchieste che in certi ambienti della polizia hanno suscitato molti malumori.
Ieri è arrivata la condanna. Ecco le motivazioni: “Pur avendo ricevuto dal direttore facente funzioni dell’ufficio di appartenenza l’ordine di provvedere all’inoltro, ad altro ufficio, di un documento in formato stampabile, non vi ottemperava, rappresentando l’insussistenza delle condizioni per aderire a quanto richiesto” (5 mesi di sospensione).
“Formalmente convocato dal direttore dell’ufficio di appartenenza per ragioni inerenti al servizio, non si presentava, chiedendo di conoscere per iscritto i motivi della convocazione” (6 mesi di sospensione).
In parole povere Bertolami è stato sospeso per undici mesi complessivi perché non avrebbe stampato un documento e perché non si sarebbe recato nell’ufficio del superiore. In entrambi i casi il vice-questore aveva respinto le accuse: “Non potevo mandare quel file stampabile, avevo appena presentato un esposto per danno erariale contro la stampa dannosa di documenti. Avevo l’obbligo di non farlo”. E perché non si è presentato dal capo? “Ero stato convocato per una sanzione: le norme prevedono notifiche in formato digitale, ma il dirigente pretendeva che mi recassi personalmente nel suo ufficio. Dato il contesto pressante, che avevo già segnalato ai vertici con richieste di intervento a tutela, non nascondo che questa immotivata insistenza mi ha fatto sorgere il timore per la mia incolumità”. “Ho ricostruito e motivato giuridicamente l’illegittimità delle sanzioni, con tanto di giurisprudenza e precedenti. Ho reso noto anche di aver presentato una documentata denuncia-querela nei confronti del dirigente”. Niente da fare: sospensione dal servizio. Addirittura si paventava la destituzione, cioè l’addio alla divisa. Invece i protagonisti dei fatti denunciati da Bertolami e mai smentiti restano in servizio.
AGGIORNAMENTO
Precisiamo che la Corte d’Appello di Roma ha poi assolto Massimo Improta per i fatti oggetto dell’articolo