Vita dura per i docenti che non ne vogliono sapere dei cellulari in classe. Entro un mese e mezzo arriverà il via libera ufficiale del ministero dell’Istruzione all’uso dello smartphone in classe. Inutile dire che il loro utilizzo sarà a fine didattici e non certo per taggare e chattare ma la ministra Valeria Fedeli su questo argomento non scherza. A luglio durante la presentazione dei risultati del piano nazionale digitale aveva annunciato: “Il 15 settembre daremo il via ad un gruppo di lavoro che dovrà fare chiarezza sull’utilizzo dei dispositivi personali degli studenti in classe intervenendo sulle attuali circolari risalenti ad un periodo troppo lontano da oggi, e promuovendo un uso consapevole e in linea con le esigenze didattiche”.
Alle parole sono seguiti i fatti. Entro poche ore verrà costituita attraverso un decreto ministeriale una commissione di “saggi” composta da docenti che fanno didattica innovativa, pedagogisti, esperti con diverse filosofie di pensiero. A loro sarà affidato il compito di redigere entro 45 giorni delle linee guida affinché chi vuole utilizzare i cellulari abbia indicazioni a cui rifarsi: “Non sarà un tavolo che discuterà su cellulare sì cellulare no ma da lì usciranno degli indirizzi con un approccio culturale. Già oggi il 30% delle scuole è dotato di un regolamento su questa questione”, spiegano i vertici di viale Trastevere.
Resta il fatto che la ministra Fedeli considera l’utilizzo del cellulare un’opportunità e vuole rimettere per sempre nel cassetto la circolare del 15 marzo del 2007 firmata dall’allora ministro Giuseppe Fioroni che bandiva l’uso del cellulare a scuola con parole nette e chiare: “L’uso del cellulare e di altri dispositivi elettronici rappresenta un elemento di distrazione sia per chi lo usa che per i compagni, oltre che una grave mancanza di rispetto per il docente – spiegava l’allora ministro – configurando, pertanto, un’infrazione disciplinare sanzionabile attraverso provvedimenti orientati non solo a prevenire e scoraggiare tali comportamenti ma anche, secondo una logica educativa propria dell’istituzione scolastica, a stimolare nello studente la consapevolezza del disvalore dei medesimi”.
La questione ha aperto già ora un dibattito pubblico. Il no agli smartphone in classe arriva addirittura dall’ex digital champion Riccardo Luna (nominato da Matteo Renzi), oggi direttore dell’agenzia Agi: “Il digitale deve cambiare la scuola ma non così. Mancano la banda ultralarga, i libri digitali, i tablet e si comincia dal comignolo della casa. Il cellulare in aula è un elemento di disturbo. Oggi dobbiamo rendere la scuola davvero digitale e non lo è ancora: si era detto di portare la banda larga nelle scuole nel 2018 e a luglio si è annunciato che arriverà nel 2020. Per anni si è parlato di dare un computer ad ogni studente e ora si chiede ad ogni ragazzo di portare il suo pc: è una politica che non condivido perché ci sarà sempre chi ha un abbonamento dati potente e chi no”.
Chi sta tutti in giorni in classe ha un approccio diverso. Franco Lorenzoni, maestro e scrittore, guarda con attenzione a questa commissione: “È un problema di età. Alle superiori va benissimo purché si usi come strumento didattico. Se è uno strumento che moltiplica le domande è buono, se è un ‘rispostario‘ è inutile. L’illusione di avere il mondo in tasca genera un rischio. Serve una presenza adulta capace accanto ai ragazzi. Internet va usato per diventare più critici e non per trovare la prima risposta utile. Se cambia radicalmente il rapporto con la conoscenza nel senso della semplificazione non serve. Non dev’essere il libro contro lo schermo, oggi possiamo e dobbiamo moltiplicare i linguaggi”.
Il maestro Lorenzoni esclude il cellulare per i più piccoli: “Dalla scuola dell’ infanzia fino alla seconda elementare si deve fare altro: meno si usa lo schermo meglio è. Per i piccoli è da escludere. Con lo schermo non ti sporchi, non fai rumore: diventa solo una comodità per la scuola”. Ad opporsi alla ministra Fedeli è anche il pedagogista Daniele Novara: “Lo smartphone in classe è l’ultimo atto della consegna della scuola italiana alle lobby digitali. Il ministero confeziona come novità la svendita della scuola agli interessi dei colossi dell’informatica. La didattica digitale non appartiene in alcun modo alla didattica progressista e innovativa”.