Il caso dei salari differenziati era già emerso nei mesi scorsi nel corso di un’indagine di routine del Dipartimento del lavoro, che aveva scoperto sostanziali differenze tra maschi e femmine
Google discrimina le donne pagandole “sistematicamente” meno degli uomini. E’ quanto sostengono tre ex dipendenti di Mountain View, che hanno fatto causa al motore di ricerca e puntano a trasformare l’azione legale in una class action. Secondo quanto riporta la stampa americana, l’iniziativa avviata presso la corte di San Francisco segue un’indagine preliminare condotta fra i dipendenti della società che ha rivelato come le donne, in tutti i settori del gruppo, abbiano stipendi più bassi.
A puntare il dito contro Google sono Kelly Ellis, Holly Pease e Kelli Wisuri. “Esco allo scoperto per cercare di correggere il problema pervasivo di pregiudizio di genere all’interno di Google”, dice Ellis, che ha lasciato Mountain View dopo l’assunzione di ingegneri uomini con esperienza simile per posizioni più pagate mentre a lei era stata negata la promozione. Il nodo dei salari discriminanti era già emerso nei mesi scorsi nel corso di un’indagine di routine del Dipartimento del lavoro, che aveva scoperto sostanziali differenze nei salari fra donne e uomini.
Google in qualità di contractor federale è oggetto di indagini periodiche per accertare il rispetto delle norme che vietano la discriminazione fra i dipendenti. L’azienda aveva respinto seccamente le accuse, sostenendo che le sue analisi interne non avevano rinvenuto alcuna disparità e accusando il Dipartimento del Lavoro di non aver fornito alcun dato o condiviso la metodologia con cui era arrivato alle sue conclusioni.
In tutta la Silicon Valley le cause per discriminazione e molestie che aumentano quasi di giorno in giorno. Nel 2015 un’azione legale è stata avanzata contro Microsoft e Twitter, accusate da alcune donne ingegneri di favorire gli uomini nelle promozioni. Nello stesso anno Ellen Pao ha fatto causa contro Kleiner Perkins Caufield &Byers. Ci sono poi i ripetuti scandali in Uber e il caso, l’ultimo in ordine temporale, di Social Finance: l’amministratore delegato della start up ha lasciato dopo le ripetute azioni legali per molestie sessuali e per pratiche di lavoro scorrette nella società.