di Luca Benci * 

Molti giornali questa estate hanno innescato un dibattito pubblico sulla sanità, una trappola della propaganda per favorire la privatizzazione del sistema italiano. Il tema era l’“espulsione” dal Servizio sanitario nazionale di oltre 12 milioni di persone che nel 2016 avrebbero rinunciato alle cure.

La notizia, ripresa acriticamente, era contenuta nel VII rapporto Rbm-Censis, reso noto nell’ambito – guarda caso – di una giornata sul welfare integrativo. Ricordiamo che l’Rbm è la più importante compagnia assicurativa privata in ambito sanitario.

Il dato è contenuto nella parte della relazione firmata proprio da un delegato Rbm assicurazione salute Spa, dimostrando un conflitto di interesse che uno studio del Censis che ha avuto il patrocinio del Ministero della Salute non dovrebbe avere. Uno studio “interessato” quindi che non ha trovato riscontro in alcun altro dato. Questo non significa che non ci siano aree di non cura – difficilmente comunque totali – ma che la drammatizzazione dei dati persegue un preciso scopo politico di privatizzazione.

Studi più attendibili pongono l’area di difficoltà di cura intorno poco più di cinque milioni il dato: in contrazione al centro nord e in aumento al centro sud. Dati importanti senza dubbio ma non quelli strumentali del Censis-Rbm.

Ricordiamo che i dati ricavati sono una “mera proiezione in valori assoluti dei risultati di un’indagine campionaria su 1.000 cittadini ai quali è stato chiesto se, nel corso dell’anno, avessero rinunciato o rinviato ad almeno una prestazione sanitaria senza però specificarne tipologia ed effettiva urgenza” e contraddetti da Istat e Ministero salute. In pratica un’intervista telefonica fatta ad un ristretto campione.

La difesa del Servizio sanitario nazionale, del suo carattere universalistico, delle adeguate forme di finanziamento sono il presupposto fondamentale per combattere questa tendenza che svela in carattere pesantemente anticostituzionale. “Non può ammettersi”, ha scritto la Corte costituzionale in tempi non sospetti, che “in forza del principio di uguaglianza” il diritto alla salute possa dipendere “dalle diverse condizioni economiche” (sentenza n. 185/1998).

Senza la corretta analisi e conoscenza dei fenomeni si rischia, però, di sbandare verso le vie indicate dai fautori delle privatizzazioni che trovano, inaspettati, compagni di viaggio (ogni riferimento alle organizzazioni sindacali che firmano contratti sul welfare aziendale è puramente voluto).

* giurista, esperto di diritto sanitario

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