Più della metà dei minori rifugiati nel mondo non ha accesso a nessun sistema educativo. Lo rivela un rapporto dell’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, che stima il numero di persone in età scolastica, senza accesso a nessun sistema d’istruzione, in 3,5 milioni su un totale di 6,4 milioni di rifugiati in età compresa fra i 5 e i 17 anni. Di questi, due milioni non frequentano la scuola secondaria, mentre un milione e mezzo non ha neanche cominciato le elementari. L’istruzione, commenta Federico Fossi dell’UNHCR al ilfattoquotidiano.it, “rappresenta per i bambini rifugiati un luogo sicuro, fisico e mentale, un ambiente dove sentirsi protetti e sicuri mentre il mondo intorno a loro sembra essere precipitato nel caos. A scuola i bambini rifugiati apprendono nozioni che possono anche salvargli la vita, imparano la resilienza e nutrono la fiducia in se stessi. Allo stesso tempo l’istruzione rappresenta un investimento per il futuro dei bambini rifugiati: grazie ad essa diventeranno gli insegnanti, gli scienziati, i medici, gli architetti, gli amministratori locali e i poeti che ricostruiranno e ridaranno vita al loro paese quando si raggiungerà la pace e loro potranno tornare a casa”.
Secondo il dossier Left Behind: Refugee Education Crisis, diffuso pochi giorni fa, c’è un gap di opportunità fra i bambini rifugiati in età scolastica e gli altri nel resto del mondo. Il risultato è emerso paragonando i dati e le statistiche raccolte dall’UNHCR con quelli sulla frequenza scolastica nel resto del globo. Infatti, spiega Fossi, “solo il 23% degli adolescenti rifugiati è iscritto alla scuola secondaria rispetto all’84% su scala globale. Nei paesi a basso reddito appena il 9% dei rifugiati frequenta la scuola secondaria. La situazione peggiora se consideriamo l’istruzione superiore: in tutto il mondo si attesta al 36%, mentre per i rifugiati, nonostante i passi avanti compiuti grazie ad investimenti in borse di studio e ad altri programmi, la percentuale rimane ferma all’1%”.
Così, questa mancanza di accesso all’educazione, si scrive nel documento, produce rischi enormi per il presente e per il futuro dei giovani rifugiati. “Mette a rischio la loro sicurezza – evidenzia il delegato dell’UNHCR -, il loro benessere fisico e mentale, la capacità di ricominciare alla pari con gli altri ragazzi nel paese di asilo ed il conseguente rischio di marginalizzazione ed isolamento. Inoltre, impatterà in maniera decisa la capacità di sviluppo del loro paese di origine al termine della crisi umanitaria”. È quindi una lotta contro il tempo, quella di fornire adeguate strutture e inclusione scolastica bambini rifugiati che diventano grandi e si trovano davanti ostacoli sempre maggiore per entrare nei sistemi educativi dei paesi ospitanti. Per questo è “importantissimo che gli studenti rifugiati siano inseriti nel sistema d’istruzione del paese di asilo e non siano costretti in sistemi paralleli, sostenuti da scarse risorse e che forniscono certificati e diplomi non riconosciuti” sottolinea Fossi. “Fondamentale è che l’investimento nell’istruzione dei bambini rifugiati sia sostenibile nel tempo: i programmi educativi non possono essere tagliati quando termina l’emergenza ed un’altra crisi umanitaria scoppia in un altro luogo”.
Nel documento, a farsi portavoce della crisi educativa è il premio Nobel Malala Yousafzai che lancia un appello ai leader mondiali: “Dovete fare di più, tenendo seriamente in considerazione le conseguenze a lungo termine del trascurare l’istruzione per i bambini rifugiati, perché la pace, la prosperità e la stabilità sostenibili non possono essere costruite senza di esse”. Dal canto suo “l’UNHCR chiede alla comunità internazionale di far corrispondere alle parole azioni concrete” dice il delegato dell’agenzia Onu. “L’accesso all’istruzione nelle emergenze umanitarie rappresenta una priorità per la nostra Agenzia, ma l’educazione nelle emergenze non vuol dire ‘educazione d’emergenza’, le misure di intervento temporaneo devono diventare risposte di lungo periodo ai bisogni educativi dei bambini”. Per questo, conclude Fossi, “nel 2012 l’UNHCR ha avviato l’ambizioso progetto ‘Educate a Child‘, il cui obiettivo è garantire l’accesso all’educazione primaria a 1 milione di bambini rifugiati di 12 paesi: Siria, Iran, Pakistan, Yemen, Etiopia, Malesia, Kenya, Uganda, Ruanda, Sud Sudan, Ciad, Sudan. Il progetto si propone di colmare le carenze esistenti nei servizi scolastici, espandendone le strutture, fornendo i materiali scolastici necessari e borse di studio, assumendo staff di insegnanti, migliorando gli standard qualitativi e coinvolgendo le comunità locali”.