Maria Kalogeropoulos, Maria Meneghini Callas, per la legione dei suoi fan ‘la Divina’ per sempre, moriva 40 anni fa a Parigi. Aveva calcato i palchi dei teatri più prestigiosi del mondo, cantato con i direttori più celebri, osannata, canonizzata come la più grande cantante del Novecento, si spegneva uccisa dai barbiturici o da un attacco di cuore nella più nera solitudine (così vuole la leggenda). Arrivata in Italia dall’America, nel 1947 debuttava all’Arena di Verona con Gioconda, notata la potenza inusuale della sua ‘canna’ venne subito scritturata per ruoli da soprano drammatico in Turandot, Valchiria, Aida ma poi un direttore che la sapeva lunghissima di voci come Tullio Serafin la sentì che si scaldava la voce con la prima aria di Elvira dei Puritani di Bellini, un’aria per sopranini leggeri. E fu la rivoluzione.
Da quel momento, il mito di Maria Callas era solo da seguire nella sua irresistibile ascesa: era il soprano che abbatteva tutte le barriere di repertorio, saltava da Wagner a Donizetti, cantava tutto e tutto meravigliosamente, apriva la stagione delle Scala nel 1951 coi I Vespri siciliani e l’anno dopo con il Macbeth diretto da De Sabata e lasciava tutti sbalorditi per energia attoriale e imperiosa vocalità e che cominciava a far parlare di sé i rotocalchi. Anno dopo anno, il mito crebbe grazie alla più impressionante combinazione di miracoli della storia dell’Opera: Visconti alla regia, Carlo Maria Giulini alla direzione e una Traviata come non se ne sarebbe più vista una uguale. E Norma, Vestale, Anna Bolena, Sonnambula: la riscoperta del repertorio del primo romanticismo italiano cantato con virtuosismo smagliante e grandissima voce, già, quella voce che Toscanini aveva definito “brutta” a sufficienza per poter cantare Lady Macbeth ma che abbagliava con straripante potenza di volume ed estensione e che ne fece la regina della Scala per quasi un decennio.
Poi il declino, che già si intravedeva e che divenne palese con il “gran rifiuto” di tornare in scena per il secondo atto di Norma (uno dei suoi ruoli più celebri) a Roma col Presidente Gronchi in teatro. La Callas divenne allora ancora più europea: Parigi, Londra e ogni tanto qualche puntata scaligera ancora ma la voce era minata, gli acuti sempre meno fermi e i centri cominciavano a sfibrarsi, l’assordante gossip intorno a lei montava inesorabilmente, prima la fuga da Meneghini, l’anziano marito e poi la storia impossibile con l’arricchito Onassis. La voce in caduta libera con attimi in cui il declino sembrava arrestarsi, o semplicemente sembrava gestirlo meglio: la seconda Norma incisa in stereo, ultima Traviata. Poi l’incontro con Georges Prêtre per una stranissima e meravigliosa Carmen e una Norma in teatro oramai impossibile da sopportare. Quindi il ritiro dalle scene. Poi il tentativo di trovare nuove strade, la Medea con Pasolini e un tristissimo ritorno sulle scene con Giuseppe Di Stefano per una serie di concerti in cui si mostrava l’icona mortuaria di una voce oramai finita, con il pubblico che applaudiva il mito e non la cantante. Poi il silenzio e la morte a suggellare una fine che era lì da almeno un decennio.
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L’eredità della Callas oltre la cronaca, il gossip, la rivalità leggendaria con l’altra diva di quegli anni, Renata Tebaldi, è ovviamente la musica. Cosa che durante le celebrazioni del mito sembra quasi passare in secondo piano. Ma Maria Callas è stata soprattutto una musicista, cosa che non si può dire di tanti cantanti d’opera. Si è inserita meravigliosamente in un movimento di riscoperta di autori negletti dai grandi teatri lirici e ha saputo rivitalizzare, con la sua incredibile capacità di cantante, ruoli desueti, opere assenti da decenni dai cartelloni, attualizzare pratiche esecutive che sembravano mitologia grazie allo studio ossessivo e maniacale dei dettagli, oltre all’indubbia dotazione naturale di una voce estesissima, enorme in teatro e di timbro estremamente particolare. Fu anche l’inizio del grande teatro di regia nell’opera con Visconti, a cui lei prestò i suoi formidabili talenti di attrice sottoponendosi ad una trasformazione corporea drastica per rendere i suoi ruoli fisicamente più credibili.
Fu l’ultima stagione di popolarità dell’opera, che ancora riusciva ad essere fenomeno di cultura di massa a cui la Divina diede sia materiale musicale che carne per l’occhiuto gossip. Dopo di lei, il cammino dell’opera divenne per il pubblico colto, che si specializzò sempre di più. L’eredità di Maria Callas è consegnata ai molti dischi che incise e che vengono continuamente riproposti, non essendo mai finiti fuori catalogo: è la lezione di canto e di musica che ne sprigiona e che non ha finora conosciuto incrinature. Maria, quella greca americana che venne in Italia, la Mecca dell’Opera 70 anni fa, a cercare fortuna, ha lasciato un segno paragonabile forse solo a Caruso e a Šaljapin e di questo dobbiamo essere grati soprattutto a quell’Italietta del boom economico che sapeva produrre sinergie incredibili e valorizzare talenti quando si presentavano anche dall’estero. Bei tempi, andati.