Sono finiti i tempi delle vacche grasse per le aziende del Consorzio Venezia Nuova che dal sistema costruito attorno al Mose hanno ricavato fiumi di denaro, praticamente senza controlli. Dopo quasi tre anni di gestione commissariale, seguita allo scandalo di un gigantesco scialo di risorse pubbliche, con annesse tangenti, la torta si è ridotta, perché la maggior parte dei lavori viene messa in gara e lo Stato continua a non essere puntuale con i pagamenti. Risultato: si licenzia. È questa la soluzione annunciata da Maurizio Boschiero, amministratore delegato della Mantovani, uno dei tre grandi gruppi che hanno di fatto avuto il monopolio dei lavori e che si è trovata al centro dell’inchiesta giudiziaria, con il coinvolgimento dell’ex presidente Piergiorgio Baita, arrestato e diventato uno dei pilastri dell’accusa contro politici e pubblici ufficiali corrotti. Le lettere che annunciano la cessazione dei rapporti di lavoro riguardano 102 dipendenti, ma in un futuro prossimo si potrebbero aggiungere un altro centinaio di licenziamenti. Il management di Mantovani mette in relazione il provvedimento proprio con la perdita delle commesse del Mose. In ballo ci sono 100 milioni di euro.

Il 30 marzo i commissari del Consorzio siglarono il sesto atto aggiuntivo della convenzione con il Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche (dipendente dal Ministero delle Infrastrutture) che prevedeva un maggior numero di gare europee per il completamento del Mose, che dovrebbe avvenire nel 2018, per entrare in funzione nel 2021. Una mazzata per l’impresa padovana, quantificata in una perdita secca di lavori per 163 milioni di euro. “Quell’atto che ci priva della commessa del Mose, comunicatoci solo due mesi dopo, è stato un colpo pesante. Abbiamo subito fatto ricorso al Tar del Veneto, ma se questo dovesse respingere la nostra istanza ci troveremo costretti a nuovi pesanti tagli” ha dichiarato Boschiero. Che ha poi fatto il conto di quanto Mantovani avanza dallo Stato: “Il Mose è solo l’ultima di una serie di situazioni che ci vedono creditori delle pubbliche amministrazioni per circa 70 milioni di euro: 50 milioni per opere edilizie realizzate per il Mose, 20 milioni per i collaudi delle paratoie e altri 10 per l’Expo milanese. In queste condizioni è davvero difficile riuscire a far quadrare i conti”.

È da tempo che le difficoltà della Mantovani tengono banco. Poco meno di un anno fa, il 26 ottobre 2016, era stato raggiunto un accordo con i sindacati al Ministero del Lavoro per un anno di cassa integrazione per 360 dipendenti. Un mese prima il patron Romeo Chiarotto aveva annunciato la messa in mobilità di 170 persone, come effetto della crisi delle costruzione e dello scandalo Mose: “Sono tre anni e mezzo che Mantovani è sputtanata tutti i giorni, se hai un lavoro te lo tolgono per qualche motivo”. Poi, a marzo, anche all’orizzonte degli appalti del Mose sono apparse le nuvole. Per questo a giugno la Mantovani ha alzato la voce. “Avevamo inviato una richiesta di incontro ai ministeri competenti e alle organizzazioni sindacali per affrontare la questione dei licenziamenti: – ha spiegato l’ad di Mantovani – non abbiamo ricevuto risposta neppure a un secondo tentativo a luglio. Siamo dunque costretti a procedere con un provvedimento doloroso, ma spero che il provveditore Linetti, i commissari del Consorzio Venezia Nuova, i ministeri competenti ed i sindacati vogliano aprire un tavolo quanto prima per non costringerci a ulteriori drastici tagli”.

Le imprese del Consorzio Venezia Nuova (oltre a Mantovani i gruppi Fincosit e Condotte) si sono sempre lamentate per la gestione commissariale, dopo aver tenuto in mano il timone di un’opera pubblica per la cui realizzazione sono stati finora stanziati 5 miliardi 493 milioni di euro. Ma la scelta di trasformare gli affidamenti diretti in appalti pubblici è stata imposta anche dall‘Unione Europea, che si era rassegnata a far effettuare gli interventi alle aziende del Consorzio solo per la realizzazione vera e propria del sistema Mose. In gara dovevano andare opere per almeno un miliardo di euro. E così sono andati in fumo i conti di Mantovani e delle altre imprese che prima di allora erano favorite.

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