Il pm di Napoli aveva ricevuto l'autorizzazione ad ascoltare le conversazioni del papà di Matteo Renzi il 17 novembre. Decise di ritardare l'accensione delle cimici perché mancavano appena due settimane al referendum. Il decreto di differimento dell'inizio delle operazioni è agli atti dell'inchiesta. Le intercettazioni iniziarono il 5 dicembre, dopo che Renzi aveva annunciato le dimissioni
Henry John Woodcock avrebbe potuto intercettare Tiziano Renzi già nel novembre dello scorso anno, mentre il figlio – allora premier – combatteva la sua battaglia per il Sì al referendum sulla riforma costituzionale. Ma decise di mentire ai suoi investigatori, ritardando l’inizio delle operazioni per quello che il suo avvocato chiama, in un intervento su La Verità, “un rispetto istituzionale che non si è mai visto nei confronti di nessuno”.
Nei giorni in cui il magistrato napoletano e gli uomini del Noe dei carabinieri sono sotto attacco della politica che parla di “complotto” dopo le rivelazioni davanti alla commissione del Csm della procuratrice capo di Modena Lucia Musti, emerge un altro aspetto dell’inchiesta Consip – con date ben precise e non interpretabili – che racconta come la procura di Napoli abbia avuto tatto nei confronti di Matteo Renzi e suo papà.
È il 17 novembre 2016 quando il gip risponde positivamente alla richiesta di Woodcock di ascoltare le telefonate sulla linea di Tiziano Renzi, avanzata nove giorni prima. Da quel momento, il pm napoletano può accendere le cimici. Tuttavia decide di non farlo. Ai suoi investigatori mente, dicendo che il giudice ha negato la possibilità di intercettare il papà del premier, indagato per traffico d’influenze. In realtà ha in tasca il ‘sì’ del gip, ma preferisce attendere perché mancano poco più di due settimane al voto.
E dal telefono di Tiziano Renzi potrebbero emergere conversazioni di ‘natura politica’. Inoltre, qualora i sospetti si fossero sostanziati in telefonate compromettenti, avrebbe potuto essere necessario procedere con una perquisizione nei confronti del papà dell’allora premier provocando un clamore mediatico capace di influenzare il risultato delle urne. Per questo Woodcock, titolare dell’inchiesta insieme al pm Celeste Carrano, firma un decreto di differimento dell’avvio delle operazioni. Quel provvedimento è agli atti dell’indagine. Svolto il referendum, fu dato il via libera alle intercettazioni che cominciarono il 5 dicembre, il giorno dopo la consultazione. Renzi, affondato nelle urne, si era già dimesso nella notte.