Paolo Emilio Signorini, ex alto dirigente del ministero delle Infrastrutture chiamato a presiedere l'Autorità di sistema portuale, ha autorizzato la compagnia dei portuali ad aumentare l'organico. Ma negli ultimi cinque anni il personale già stabilizzato ha trascorso un terzo dei turni a casa, indennizzato dall'istituto di previdenza. Soddisfatti anche i terminalisti, che dovranno versare meno conguagli
All’ombra della Lanterna di Genova, dove i camalli della Culmv si riuniscono ancora sotto il ritratto di Lenin che campeggia nel salone della loro sede, è nata un’inedita alleanza fra questi, i terminalisti-padroni e Paolo Emilio Signorini, l’ex alto dirigente del ministero delle Infrastrutture voluto dal governatore ligure Giovanni Toti alla guida del porto dopo decenni di dominio del centrosinistra. Un patto indigesto, forse, ma conveniente per tutti i suoi sottoscrittori, stretto alle spalle dell’Inps e dei suoi contribuenti. L’Autorità di sistema portuale (Adsp) di Genova, l’ente vigilante presieduto appunto da Signorini, ha autorizzato la Culmv a riportare da 882 a 930 l’organico dei suoi “operativi”. Questo nonostante, tra il 2012 e il 2016, i portuali della compagnia abbiano lavorato in media due turni ogni tre mentre il terzo veniva pagato dall’Inps con la cosiddetta “indennità di mancato avviamento“. Gli avviamenti sono stati in media 180-190mila l’anno, i mancati avviamenti 375mila nel quinquennio: vale a dire che ognuno ha trascorso grossomodo 80 turni a casa, indennizzato dall’istituto di previdenza. E tra gennaio e luglio 2017 se ne sono contati altri 34mila.
Per capire i motivi di questa decisione occorre qualche premessa. I terminal portuali, demanio pubblico, sono affidati in concessione a privati (terminalisti) che vi operano l’imbarco/sbarco di merci o passeggeri avvalendosi di personale proprio o subappaltando intere fasi a terzi, le imprese portuali. Dal momento che i traffici subiscono variazioni anche consistenti, stagionali e/o congiunturali, solo parzialmente prevedibili, la legge prevede che in ogni porto possa esser individuato un soggetto (fornitore di manodopera temporanea) che, in monopolio e in base ad una tariffa massima preconcordata coi terminalisti e l’Adsp, svolga lavoro interinale. Quando cioè un terminalista ha un “picco” di lavoro, chiama il fornitore di manodopera. La ratio della legge del 1994 è che il grosso dei lavoratori portuali sia assunta da terminalisti o imprese, lasciando all’incertezza del lavoro flessibile solo i picchi in alto (e alla relativa copertura pubblica dell’Inps quelli al ribasso).
A Genova, dove il fornitore è la Culmv – oggi una cooperativa ma dal Medioevo la corporazione di fatto padrona delle banchine su cui, finché son state pubbliche (1994), aveva il monopolio della movimentazione – questo è avvenuto parzialmente. Per ragioni storiche e sociopolitiche la Culmv è rimasta un soggetto numericamente forte, tanto da sorvolare, oggi come ieri, sul fatto che gruppi di suoi soci lavorino de facto in pianta stabile per l’uno o l’altro terminalista.
Il sistema ha retto fino al 2008, ma la crisi, che lo ha mandato gambe all’aria con un crollo dei volumi, non ha comportato una razionalizzazione e una normalizzazione del rapporto domanda/offerta. Oggi i terminalisti sono tornati a movimentare quanto e più del 2007, ma, complici l’aumento della produttività e dinamiche sempre più standardizzate nei trasporti, gli avviamenti sono rimasti quelli degli anni bui e la Culmv, per pagare gli stipendi ai soci e chiudere il bilancio in pari, ha bisogno del supporto pubblico e privato. Il primo, oltre all’Ima (l’indennità di mancato avviamento in carico all’Inps di cui sopra), è consistito in finanziamenti (8 milioni di euro circa fra 2014 e 2015) dall’autorità portuale, consentiti però solo a fronte di una riduzione degli organici, mentre il secondo si è tradotto in “conguagli” pagati ex post dai terminalisti.
Dopo anni in cui qualche taglio, sofferto ma insufficiente, agli organici pleonastici della Culmv, è dunque avvenuto (da 963 a 882 operativi fra 2012 e 2016), come è quindi possibile che l’ente vigilante abbia acconsentito a rialzare i numeri? E perché i terminalisti, che in questi anni hanno accettato di “salvare” i camalli con conguagli forse non dovuti, non hanno fatto un plissé? Partiamo dal secondo caso. I lavoratori interinali sono indispensabili ai terminalisti, soggetti fisiologicamente ad alti e bassi significativi nel volume d’attività. Per giunta, come detto, in alcuni casi a Genova si impiega personale Culmv come fosse dipendente: se serve bene, se non serve lo paga l’Inps, senza nemmeno dover chiedere la cassa integrazione. Per cui ben venga per i terminalisti l’aumento dell’organico Culmv, che ridurrà il rischio o l’entità del conguaglio a fine anno.
Anche l’Adsp, oggi guidata dall’ex boiardo ministeriale Signorini, non ha che da guadagnarci. Oggi che a Genova il sole dell’avvenire non è più così rosso nemmeno a San Benigno, quartier generale dei camalli, il favore alla Culmv (che potrà contare su più Ima ed evitare il licenziamento di alcuni soci cosiddetti speciali, cioè a tempo determinato) è per Signorini una scommessa allettante a rischio pressoché zero, ancorché del tutto anticiclica. Gli eventuali effetti negativi della copertura dei turni non lavorati da 50 camalli in più, infatti, affogheranno nel mare magnum dell’Inps, troppo concentrato su ben altro per soffermarvisi. Invece per il presidente del porto, vicinissimo a Toti, varranno sicuramente pace sociale e possibili voti: viatici formidabili per l’auspicato ritorno a Roma qualora il centrodestra si aggiudicasse le politiche 2018 bissando i recenti exploit liguri. Magari alla guida di quella direzione ministeriale da cui Graziano Delrio lo cacciò in quanto uomo di fiducia di Ercole Incalza a latere delle inchieste del 2015 su quest’ultimo.
di Andrea Moizo