di Giusy Cinquemani
Su Il mattino di Padova, la notizia di un uomo di sessanta anni che si è tolto la vita lanciandosi nel vuoto del parcheggio multipiano di Ikea. In tasca, il bigliettino di scuse per i propri familiari. Sulle ragioni del gesto,
che andiamo cercando quando si muore così, non possiamo dire nulla. Parafrasando Sigmund Freud, che parlando della depressione o dello stato d’animo depressivo, scriveva che “L’ombra dell’oggetto cade sull’Io”, potremmo dire, in ogni caso, che l’ombra minacciosa del suo problema si è proiettata sul suo Io, e a quel punto non avrà visto altro rimedio per eliminare l’ombra se non eliminare l’Io.
Un suicidio è un gesto comunicativo forte, l’unico che si pensa a disposizione, carico di affetti distruttivi, anche se solo simbolicamente aggressivi per gli altri, per il mondo, e concretamente autodistruttivi. Il biglietto, quasi sempre presente, svolge l’impossibile compito del chiedere scusa per il dolore che quel gesto causerà in coloro che hanno voluto bene alla persona che si è tolto la vita. Le persone care magari non sono destinatarie dell’accusa lanciata dal suicida, ma sicuramente sono quelle che sentiranno il dolore.
Colpisce talvolta la scelta del luogo. In questo caso il vuoto necessario per il salto viene individuato nel parcheggio multilivello di Ikea. Curioso. Tanto il parcheggio multipiano, quanto i magazzini di Ikea si possono considerare fra i tanti non-luoghi, che riempiono il mondo. Contenitori strani nel loro ripetersi identici e nel loro stringente meccanismo di accesso e movimento. Ci sono ingressi e uscite obbligatori. Non ci si muove dentro liberamente. Posti pensati per immettere facilmente le persone dentro uno spazio che ha delle regole precise, climatizzati in un modo particolare, illuminati senza ombre, che, camminando rigorosamente, appresso a una processione di sconosciuti, sul percorso grigio con le frecce li porteranno lentamente verso un calcolato sfinimento e l’uscita. Insomma, si entra in un posto senza variabili e le persone diventano delle costanti.
Allora, in attesa di sapere “la verità” sul perché del tragico gesto del signore sessantene, al momento possiamo dire che quell’uomo ha scelto un luogo esemplare di questo nostro tempo. Un tempo sempre più organizzato in percorsi obbligati che danno l’illusione del controllo, della sicurezza e del benessere, ma, contemporaneamente, spinti d’ufficio verso la depressione se qualcosa in quel percorso va storto. L’ombra dell’oggetto commerciale si abbatte sull’Io.
@GiuCinque