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Birmania, il Nobel per la pace Suu Kyi rompe il silenzio sui rohingya ma nega le violenze. Amnesty: ‘Testa sotto la sabbia’

La leader birmana si è pronunciata sulla crisi umanitaria di cui è vittima la minoranza musulmana in Myanmar: "Condanniamo ogni violazione dei diritti umani - ha detto - ma in quelle zone non ci si sta massacrando a vicenda". La replica di James Gomez, direttore generale della ong: "Un miscuglio di menzogne e biasimo delle vittime"

Non ha mai pronunciato la parola “rohingya” e ha negato violenze generalizzate, ma si è anche detta “preoccupata” per eventuali “violazioni dei diritti umani“. La leader di fatto della Birmania e premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, ha rotto il silenzio sulla crisi umanitaria in corso a Myanmar dall’inizio delle violenze che hanno provocato la fuga in Bangladesh dal mese scorso di centinaia di migliaia di civili della minoranza musulmana dello stato occidentale di Rakhine. Un discorso atteso, dopo le critiche arrivate da più parti per non essere mai intervenuta, e ora definito da James Gomez di Amnesty International “un miscuglio di menzogne e biasimo delle vittime”.

Suu Kyi ha parlato nella capitale Naypyidaw alla presenza di una platea di diplomatici stranieri. Nel corso dell’intervento, trasmesso in televisione, ha promesso che il suo paese è pronto a garantire il rientro dei profughi rohingya costretti a fuggire in Bangladesh. “Anche noi siamo preoccupati. Vogliamo identificare i problemi reali. Ci sono state illazioni e contro-illazioni. Dobbiamo ascoltarle tutte. Condanniamo ogni violazione dei diritti umani e violenze illegali”, ha aggiunto il Nobel per la pace. Il resto del suo discorso non si è però discostato di molto dalla linea ufficiale del suo Paese, in cui formalmente è consigliera di Stato e ministro degli Esteri.

Suu Kyi ha detto infatti che la maggior parte dei villaggi abitati dalla minoranza musulmana in Birmania non sono stati fatti oggetto di violenze e ha invitato i diplomatici a visitarli. “In quelle zone non ci si sta massacrando a vicenda – ha aggiunto – la maggioranza delle persone non ha preso parte all’esodo. Dobbiamo capire le cause che lo hanno provocato”. La leader birmana non ha usato il nome rohingya durante il suo discorso, se non per identificare l’Arakan Rohingya Salvation Army (Arsa), il gruppo militante che ha attaccato polizia e postazioni militari il 25 agosto, scatenando l’ultima serie di violenze nello stato di Rakhine.

“Ci sono prove schiaccianti che le forze di sicurezza sono impegnate là in una campagna di pulizia etnica attraverso assassinii e trasferimenti forzati”, è la replica di Gomez, direttore regionale di Amnesty International per l’Asia meridionale ed il Pacifico. “Lei e il suo governo stanno ancora nascondendo la testa sotto la sabbia sugli orrori che avvengono in quello Stato”, ha aggiunto attaccando Suu Kyi. In una dichiarazione diffusa ai media dalla ong umanitaria, Gomez ha detto che “a tratti il suo discorso è equivalso a poco più di un miscuglio di menzogne e biasimo delle vittime”.

Le accuse che arrivano dal rapporto degli esperti delle Nazioni Unite includono “uccisioni di massa, uso eccessivo della forza, tortura e maltrattamento, violenza sessuale e di genere, distruzione di interi villaggi”, ha dichiarato il capo della missione Marzuki Darusman. “Crediamo fermamente che sia nell’interesse del governo e nell’interesse del popolo del Myanmar comunicare direttamente i propri punti di vista e le proprie prove alla missione”, ha aggiunto. Secondo l’organizzazione Human Rights Watch,  almeno 214 villaggi rohingya sono stati bruciati in Birmania da fine agosto. Lo ha denunciato avvalendosi di nuove immagini satellitari che documentano la distruzione avvenuta nella parte del Rakhine più vicina al confine con il Bangladesh. E’ da queste zone che, secondo diverse ong, vengono gli oltre 400mila rohingya rifugiatisi in Bangladesh.