Sbarramento al 3%, 600 onorevoli scelti dai partiti, niente voto disgiunto. Tornano le alleanze tra forze politiche, ma rischiano di essere solo cartelli. Ecco la terza versione della legge elettorale targata Pd
Lo chiamano di nuovo Rosatellum, ma è la terza – forse quarta – versione della riforma elettorale proposta dal Pd. Resta solo da scoprire se la sua vita sarà lunga come quella prima, cioè il tempo di entrare in Aula. L’ultimo ritrovato delle riforme elettorali – che da oggi inizia il suo percorso in commissione a Montecitorio – pochi giorni fa era stato chiamato Mattarellum rovesciato per farlo capire meglio (chissà quale sarebbe il modo per farlo capire peggio). Ma le similitudini con la vecchia legge del bipolarismo – da molti rimpianta, da tutti a parole – c’entra quasi zero. In breve: le coalizioni rischiano di essere finte e variabili, due terzi del Parlamento saranno scelti dai partiti, la libertà di scelta dell’elettore sarà simile a quella di un plebiscito: sì o no.
L’anagrafe dei nomignoli
Per venderlo meglio lo hanno chiamato Mattarellum rovesciato, in realtà è pensato sulla base del Fianum. Il Fianum era il disegno di legge che a giugno in teoria doveva essere approvato alla velocità del siluro perché parevano tutti d’accordo (dal Pd al M5s alla Lega fino addirittura ai partitini) mentre in pratica fu fatto fuori al primo giorno di votazioni, dopo una manciata di voti segreti. Il patatrac avvenne sul sistema elettorale altoatesino, che – con il rispetto che si deve – diventò all’improvviso alfa e omega della vita democratica del Paese. Poiché l’anagrafe dei nomignoli dei sistemi elettorali mai nati (Rosatellum, Fianum, Verdinellum, Tedeschellum, Provincellum, Mattarellum rovesciato) aggiunge confusione al caos primordiale che già in origine contraddistingue un tema così popolare come le riforme elettorali, può risultare utile ricominciare da zero.
Mattarellum? Trova le differenze
Per esempio: il Rosatellum 3 – Il ritorno ricorda il Mattarellum da lontano solo perché è un sistema misto maggioritario-proporzionale, ma non c’entra niente, come già era successo quando chiamavano “tedesco” quello che tedesco non era. Innanzitutto le percentuali con cui si compone il Parlamento sono ribaltate: per due terzi (64 per cento dei seggi) si userà il proporzionale, per il restante numero di seggi (36 per cento) il maggioritario. Il Mattarellum funzionava esattamente al contrario, chissà se qualcuno ricorda: tre quarti delle Camere derivavano dai collegi uninominali (cioè quelli in cui chi arriva primo, diventa parlamentare), mentre gli altri parlamentari venivano eletti con il proporzionale anche per tutelare la rappresentanza dei partiti più piccoli.
Con la legge che sta per essere discussa, in sostanza, 611 parlamentari su 945 (399 deputati e 212 senatori) saranno eletti attraverso il sistema proporzionale. Il punto, come sempre da 12 anni, è che le liste restano bloccate, anche se brevi (tra 2 e 4 nomi) come ha indicato la Corte Costituzionale quando ha bocciato il Porcellum. Saranno disegnati collegi grandi più o meno come le Province e anzi potrebbero tornare utili i 100 collegi disegnati per l’Italicum, poi spuntato dalla Consulta. Brevi o non brevi, resta il concetto dei “nominati” dai vertici dei partiti, sia pure riconoscibili come vuole la Consulta. Come se non bastasse però resistono valorosamente le pluricandidature: ci si potrà presentare in tre listini proporzionali diversi, quindi se un candidato è bocciato qui, potrebbe passare là, specie se davanti ha un leader di partito che fa da traino. Lo potrà fare ancora di più un candidato di collegio che potrà contare su 4 possibili tentativi di essere eletto (nel collegio e in tre listini proporzionali).
Niente voto disgiunto, elettore “incatenato”
La faccenda è molto tecnica e allora può essere ribaltata dal punto di vista dell’elettore nella cabina. Non esiste, infatti, il voto disgiunto, cosa che invece accadeva con il Mattarellum che prevedeva due schede diverse per il maggioritario e per il proporzionale. Con il Rosatellum la scheda è una sola: il nome del candidato nel collegio sarà affiancato dai simboli dei partiti che lo sostengono. Barrando sul simbolo del partito il voto andrà al candidato del collegio e al partito per la parte proporzionale. Il massimo della libertà dell’elettore sarà barrare solo il candidato del collegio senza segnare il partito. Al contrario, non essendoci le preferenze, scegliendo il simbolo, l’elettore sarà costretto a prendersi pacco, doppio pacco e contropaccotto: candidato al collegio e listino dei nomi, a partire dal capolista, per abitudine blindatissimo.
Le coalizioni così così e la soglia del 3 per cento
L’altra novità – si entusiasmano nel Pd – è il ritorno delle coalizioni. Tuttavia le alleanze servono a vincere le elezioni, ma piacciono meno quando c’è da governare: il tema è caro a due ex premier attualmente a capo dei due partiti che già si congratulano a vicenda per questo nuovo sistema elettorale. In realtà le coalizioni non sono autentiche e trasparenti come ai tempi della buon’anima del Mattarellum. All’epoca c’era il simbolo della coalizione e accanto il candidato. Ora invece ogni simbolo di partito ha il suo candidato al collegio, il cui nome quindi si ripeterà al fianco di ogni partito che lo sostiene. Nella legge non si prevede nemmeno l’indicazione del capo della coalizione, come ai tempi del Porcellum, per quanto potesse valere, ma solo quella del capo della forza politica.
Così può accadere che le coalizioni siano cangianti, da collegio a collegio. Il centrodestra in formato Forza Italia-Lega al Nord va alla grande, mentre al Sud Noi con Salvini è allo zero virgola, di conseguenza per Berlusconi sarà facile allearsi, magari, con i centristi in Calabria e in Sicilia e con Fitto in Puglia. O dall’altra parte il Pd potrà scegliere di allearsi o no con Mdp (e viceversa) se un candidato gli va bene oppure no, potrà scegliere Pisapia a Milano e Alfano a Catania.
E non c’è nemmeno alcun incentivo a coalizzarsi visto che la soglia di sbarramento è al 3 per cento per tutti: sia per i partiti che entrano in una coalizione sia per quelli che corrono da soli. L’unica selezione all’ingresso è data da un’altra soglia – del 10 per cento – per le coalizioni.
Tutto gira intorno al Trentino-Alto Adige
Perché quella suddivisione apparentemente cervellotica della composizione del Parlamento, 64 proporzionale più 36 maggioritario? Perché per fare presto bisogna ripartire dal testo bloccato a giugno a Montecitorio. E quel testo fu preso a pallettoni – insieme all’accordo Pd-M5s – con un emendamento firmato dai deputati di Forza Italia e M5s Micaela Biancofiore e Riccardo Fraccaro, la prima bolzanina, il secondo trentino. Quella proposta diceva che per il Trentino-Alto Adige doveva valere lo stesso sistema di tutto il resto d’Italia. Grazie allo scrutinio segreto, passò con le vele spiegate che nemmeno la nave Vespucci: non solo con i voti dei Cinquestelle, ma anche con diversi franchi tiratori e numerose assenze nel Pd. Con quella mossa fu in questo modo esteso al Trentino-Alto Adige il cosiddetto “riparto proporzionale“, cioè la redistribuzione dei seggi in proporzione alla forza dei partiti e non con le sfide nei collegi. Per cristallizzare questo schema in modo da non far ripartire l’iter parlamentare daccapo e proseguire con la calendarizzazione già decisa per il ddl precedente, il Partito Democratico ha cucito la nuova bozza di riforma addosso a quella modifica, ripristinando così i collegi uninominali in Trentino Alto Adige, fissa dei due partiti regionali, l’Svp e il Patt, storici alleati del centrosinistra. Ma l’intesa potrebbe già traballare: i sudtirolesi non sono soddisfatti.