E' la conclusione del processo nato da una costola dell'inchiesta Aemilia. Per la prima volta il capo-cosca è stato riconosciuto colpevole da un tribunale del Nord Italia
Una sentenza certifica la presenza della ‘ndrangheta anche a Mantova e Brescia. E’ uno dei rami dell’inchiesta Aemilia che nel 2015 portò all’arresto di 117 persone soprattutto a Reggio Emilia che il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti definì storica e paragonabile alle inchieste in Lombardia (Crimine-Infinito), Piemonte (Minotauro) e Liguria (Maglio). Oggi ha portato a 10 condanne, tra le quali quella per Nicolino Grande Aracri, capo cosca, per il quale è stata decisa dal tribunale una pena di 28 anni di reclusione. E’ la prima volta che il boss viene condannato in un tribunale del Nord Italia. I giudici di Brescia hanno pronunciato altre 9 sentenze di condanna a 26 anni per Antonio Rocca (braccio destro di Grande Aracri), a 4 anni per sua moglie Deanna Bignardi e a un anno e 9 mesi per suo figlio Salvatore. Condannati anche Giuseppe Loprete a 19 anni, Giacomo Marchio a 4 anni e mezzo, Salvatore Muto a 18 anni, i fratelli Danilo e Ennio Silipo a 4 anni e Alfonso Bonaccio a 10 anni. Altre sei persone sono state dichiarate assolte: Gaetano Belfiore, Antonio Floro Vito, Antonio Gaultieri e Moreno Nicolis oltre a Rosario e Salvatore Grande Aracri, nipoti del boss Nicolino.
I capi d’imputazione, a vario titolo, riguardavano estorsioni, minacce, detenzione abusiva di armi, aggravati dall’associazione a delinquere di stampo mafioso per fatti avvenuti a Mantova e Cremona. I giudici hanno deciso provvisionali di risarcimento in favore di un imprenditore (Matteo Franzoni) per 70mila euro e dell’associazione Libera per 200mila euro. I pm della Dda di Brescia a luglio, durante la requisitoria, avevano chiesto 17 condanne. Alla i magistrati Claudia Moregola e Paolo Savio hanno commentato la sentenza: “Finalmente a Mantova è tornato il tempo della speranza”.