Ormai si sa molto dello sciopero universitario, quella astensione dagli esami (da una sessione di esami) che ogni docente adotta secondo il suo calendario e che prevede lo spostamento di due settimane di un appello.
La cosa ha smosso molto l’ambiente universitario: soprattutto ha impressionato la Conferenza dei Rettori delle Università italiane (Crui) che, forse sull’onda dello stupore per una forma di protesta abbastanza rara sul fronte dei professori, ha deciso di convocare le componenti della docenza (in breve, le organizzazioni sindacali nelle loro varie sigle) autodefinendosi come «organizzazione dei “datori di lavoro” dei docenti universitari».
Ebbene, ciò non è vero. Sarebbe come se un ente che gestisce un acquedotto si arrogasse il diritto di definirsi “datore di lavoro” di tutti gli idraulici che lavorano nelle case servite dalla rete di quell’acquedotto. La Crui è un’associazione privata non riconosciuta – secondo il suo statuto – che riunisce volontariamente i rettori delle università pubbliche e private italiane che manifestano interesse all’adesione. Nel tempo la Crui stessa si è resa partecipe, in alcuni casi anche complice, delle scelte governative che hanno prodotto, dal 2008 in poi, una situazione di sofferenza per il sistema universitario del nostro Paese. In quali modi?
a) la sordità e indifferenza nei confronti del movimento dell’Onda, che avvertiva dei tagli draconiani appena varati con la l. 133/2008;
b) il supporto fedele – degno di miglior causa – al governo Berlusconi per la legge 240/10 (cosiddetta “riforma Gelmini”, la fonte di molti dei mali recenti dell’università italiana);
c) la richiesta – poi puntualmente realizzata – di liberalizzare in modo selvaggio il precariato sganciando i soli ricercatori a tempo determinato senza tenure-track (i cosiddetti “ricercatori di tipo A”) dal sistema dei punti organico, rendendo in tal modo tali ricercatori pura carne da cannone per le batterie universitarie;
d) il rifiuto e a tratti il contrasto a ogni tentativo di opporsi all’iper burocratizzazione elaborata dall’Agenzia di valutazione dell’università e della ricerca (Anvur), corredato da operazioni di facciata come la “primavera dell’Università” delle quali si è persa anche la memoria e dalle quali nessuna azione concreta è scaturita;
e) la millantata azione contro il vergognoso (ma tanto utile per le casse degli atenei) taglio della progressione degli stipendi dei docenti, ad esempio narrando di un fantomatico tavolo Crui-Miur-Mef di cui, a fine protesta, si è persa ogni traccia;
f) il sostegno a ogni tentativo dirigista e verticista: si trattasse delle “cattedre Natta”, con relative commissioni governative per la selezione, oppure si trattasse del “torneo” tra dipartimenti considerati eccellenti, una trovata falsamente meritocratica e senza risorse aggiuntive che toglie risorse a tutto il sistema nel suo complesso.
E si potrebbe continuare molto a lungo.
Con questo bel palmarés di interventi a sostegno o a fianco del governo, e con la situazione complessiva di sofferenza del sistema, cosa fa la Crui (ripetiamo, associazione privata di persone, non interlocutore privilegiato del Ministero), quale priorità si dà? Convocare le associazioni dei docenti, dicendo che è opportuno “regolamentare le (rarissime) astensioni collettive dei docenti universitari”.
Immaginiamo un dialogo immaginario tra il presidente della Crui e la ministra, spiazzata dalle adesioni che lo “sciopero” ha registrato.
– “Ha visto Magnifico Rettore? I docenti scioperano…”
– “Oh, non mi dica ministra, non sarà mica che vogliono lamentarsi? E di cosa poi?”
– “Eh, che vuole che le dica? Sarà l’effetto dell’estate, e poi, si sa, questi intellettuali fannulloni…”
Stiamo scherzando: non scherziamo. Regolamentare uno “sciopero”? Nella condizione attuale dell’università?
Tale regolamentazione esiste già, in una legge, la 146/90 che detta le regole dello sciopero nel pubblico impiego. Ogni discussione ripeterebbe cose già note. Inoltre i Rettori sono eletti dai docenti, dagli studenti e dal personale tecnico e amministrativo delle Università, quindi, in senso stretto, sono loro a essere dipendenti e le università sono i loro datori di lavoro, non il contrario.
E’ un vecchio vizio tutto italiano quello di confondere il contenitore (gli Atenei) con il contenuto, per quanto speciale esso sia (i rettori); un vezzo gerarchico – e il sistema lo è – ma assolutamente non democratico né rappresentativo.
A suo tempo siamo stati praticamente soli in piazza a difendere il sistema dai tagli e dalle modifiche privatistiche che si affacciavano alla mente di illuminati legislatori dilettanti: ricordiamo le difficoltà di dialogo con i nostri colleghi rettori, con gli ordinari, con molti colleghi in crisi di identità, e ricordiamo che solo gli studenti, con la loro freschezza ed entusiasmo raziocinante, ci appoggiavano. Oggi dobbiamo prendere atto che il sistema si è chiuso ulteriormente: un ministro considera interlocutore privilegiato non le organizzazioni dei docenti e degli studenti e del personale tecnico e amministrativo, bensì i vertici degli atenei, gli stessi che in passato sono stati a guardare e sono stati zitti di fronte alle modifiche fatte dal governo Berlusconi e dai ministri successivi.
Gran bel risultato.
Si dirà: protestate solo per gli stipendi bloccati. No, quella è solo una parte del problema, la punta di un iceberg, dove volano i gabbiani affamati mentre il resto sta sommerso: il taglio ai finanziamenti, le modalità di valutazione dell’università e della ricerca, la valanga di assurdi adempimenti burocratici introdotti dopo la legge Gelmini, la perdita del 20% dei docenti a ruolo in sette anni, e la identica diminuzione in percentuale dei fondi destinati a università e ricerca. Mentre la Germania aumentava del 20% i finanziamenti al suo sistema universitario, nello stesso periodo l’Italia lo diminuiva dell’identica percentuale. E poi, lo abbiamo già detto, l’aumento del precariato, issato quasi a modello di sopravvivenza del sistema.
Per questi motivi non riconosciamo alla Crui il diritto di “convocare” chicchessia, semmai di “invitare”, e graziosamente si valuterebbe poi per discutere di cosa. Riteniamo che aprire un dibattito durante uno sciopero che terminerà solo il 31 ottobre sia quantomeno poco elegante, ma soprattutto vorremmo vedere al tavolo di un ipotetico, augurabile futuro confronto, accanto alla ministra e alle varie organizzazioni sindacali, movimenti e sigle attive da anni sul fronte dell’Università, anche il Cun (organo rappresentativo – lui sì – della realtà universitaria) e il Consiglio Nazionale degli studenti universitari (Cnsu), pure lui rappresentativo. E basta.
En passant ricordiamo anche alla ministra che mai lei si è resa disponibile a un confronto con tali sigle sindacali, e che la promessa di apertura di tavoli di discussione sulle esigenze del sistema, sul precariato, sui nuovi reclutamenti, non ha mai portato a nulla: promesse non seguite da alcun fatto.
Poi, a quel punto, potremo anche invitare la Crui – non convocarla – e sentire cosa ha da dire.
A sua discolpa.