Sabrina Carreras e Mariangela Pira in Fozza Cina (Baldini&Castoldi) raccontano come dall'anno accademico 2004-2005 a oggi il numero di ragazzi della Repubblica popolare iscritti alle nostre facoltà sia aumentato di venti volte, arrivando a quota 7.375. Ormai, dopo albanesi e rumeni sono la maggiore comunità straniera nei nostri atenei. Anche nei piccoli centri. "Cercano la creatività che il loro sistema non promuove"
L’Inter nelle mani dell’imprenditore Zhang Jindong e il Milano di Li Yonghong. ChemChina che conquista Pirelli, le moto Benelli finite nel portafoglio del gruppo Qjian Jiang. E poi gli yacht Ferretti, la casa automobilistica De Tommaso, la casa di moda Krizia, l’olio Sagra, il 35% di Cdp Reti, il 40% di Ansaldo energia. Ed è solo la punta dell’iceberg: le aziende italiane in mano a investitori cinesi sono 235, con un totale di 13mila dipendenti. La Penisola, raccontano in Fozza Cina – Dalla Pirelli alla moda al calcio, l’Italia sta diventando colonia cinese? (Baldini&Castoldi) la giornalista Rai Sabrina Carreras e Mariangela Pira di Class Cnbc, è diventata la meta principale degli investimenti cinesi in Europa. Oltre ai capitali, dalla Repubblica popolare arrivano però anche sempre più studenti interessati alla cultura italiana. “Investimenti cinesi nelle nostre imprese e flusso di studenti verso le nostre facoltà vanno di pari passo”, notano le autrici. Dall’anno accademico 2004-2005 a oggi il numero di ragazzi cinesi iscritti a facoltà italiane è aumentato di venti volte, arrivando a quota 7.375. Ormai sono la maggiore comunità straniera nei nostri atenei, dietro albanesi e rumeni che però sono spesso figli di immigrati. I cinesi, invece, vengono in Italia apposta.
Nel 2004, dopo la visita dell’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi a Pechino, sono nati i programmi di attrazione Marco Polo (lanciato dalla Crui nel 2004) e Turandot, riservato a giovani della Repubblica popolare che vengono a studiare in conservatori, scuole di musica, accademie di belle arti, istituti di design. Nel 2010 è nata poi alla Farnesina una cabina di regia per la promozione del nostro sistema universitario in Cina. Da allora gli arrivi si sono moltiplicati, e non solo nelle grandi università. Fozza Cina racconta come ad Alatri, cittadina con nemmeno 30mila abitanti provincia di Frosinone, dal 2015 arrivi un flusso continuo di studenti cinesi grazie. Visto che per iscriversi ai programmi non è richiesta la conoscenza della nostra lingua, inizialmente la maggior parte degli studenti veniva respinta agli esami di ammissione alle università. L’allora presidente del conservatorio di Frosinone, raccontano Carreras e Pira, ha avuto allora l’idea di una scuola di italiano tagliata sulle loro esigenze: “800 ore di lingua italiana, laboratori mirati ad apprendere la terminologia specialistica utilizzata nei corsi universitari e 200 ore dedicare allo studio della storia dell’arte e della cultura occidentale”. Il primo anno il 90% dei 24 iscritti ha superato i test di ammissione. L’anno successivo il numero è raddoppiato. Ora gli iscritti all’Accademia di Belle arti di Frosinone sono 150. Per il Comune il loro arrivo si è tradotto in un ritorno economico di un milione di euro tra ristrutturazione delle case in cui sono andati a vivere, affitti e spese di soggiorno.
Il collegamento tra investimenti e flusso di studenti è tutt’altro che casuale, spiega Federico Masini dell’Istituto di Lingue orientali della Sapienza di Roma: “La cultura, la formazione e la conoscenza in Cina sono i principali strumenti per acquisire potere, in un senso per noi completamente sconosciuto. Cioè per diventare funzionario, politico o manager di successo in Cina devi aver studiato. Pensare oggi a un primo ministro cinese che non abbia un dottorato di ricerca è inimmaginabile”. E chi non viene ammesso nelle università della Repubblica popolare, il cui accesso è regolato da un temutissimo esame nazionale (Gaokao), fa di tutto per ottenere un diploma in un ateneo di oltreoceano e poi tornare in patria. Tra questi, c’è un gruppo per il quale l’Italia è sicuramente “una seconda scelta rispetto a Paesi come gli Stati Uniti o il Regno Unito, perché costa di meno”. Ma ci sono anche i talenti che scelgono la Penisola perché cercano “la creatività, la capacità di innovazione attraverso l’immaginazione“. Che nel sistema educativo cinese, tutto basato sulla memoria e la ripetizione, è tutt’altro che incoraggiata. Per questo scelgono alle facoltà di arte e design (scelto dal 50% degli studenti cinesi) oppure studiano l’alimentare, l’agricoltura, la meccanica di precisione. Non è un caso se l’unico campus europeo aperto da un’università cinese in Europa è quello della Tongji university di Shanghai, a Firenze. Specializzato in design, moda e architettura.