L’esperienza televisiva oggi è simile ad un viaggio onirico; uno di quei sogni di cui restano nella memoria le immagini frastagliate, che si accavallano le une alle altre. Al risveglio la sensazione è di poter toccare quel vissuto, di essere stati immersi all’interno di quell’esperienza; come in un videogioco cerebrale. Addirittura, a distanza di anni, talvolta, risulta difficile distinguere ciò che abbiamo sognato da ciò che abbiamo vissuto.
L’esperienza televisiva, oggi, appare come uno di quei sogni. Il trionfo del tutto è possibile, del poter vivere, istantaneamente e contemporaneamente, sul luogo di un delitto, in un’aula parlamentare, in mezzo alle case distrutte da un terremoto oppure in uno stadio durante un avvenimento sportivo. Il salto di qualità, nel reality assoluto di questo “ora e qui” del mondo contemporaneo, è stata la possibilità di partecipare, con un messaggio, un “hashtag”, un “click” a quel mondo di immagini che assorbe il quotidiano. Le telecamere arrivano, assieme al padre di Noemi ed ai carabinieri, presso l’abitazione dei genitori del fidanzatino reo-confesso dell’omicidio della povera ragazza. Ciascuno di costoro, asserragliato nel proprio mondo, viene proiettato “live” nelle case di migliaia di utenti televisivi che, a loro volta, sono colpiti nel loro vivere personale, violato e disintegrato, da storie che si trasformano in puro voyeurismo e pornografia del male.
E poi la giustizia, un Leviatano a sua volta chiuso ed asserragliato nei suoi palazzi, dove avvengono “cose” che tutti i protagonisti delle vicende e tutti gli spettatori di quel reality giudiziario non capiscono. Ed ancora peggio: all’interno di quelle mura degli uffici giudiziari, lividi di silenzi e porte che si chiudono, tra muri senza colori (basta leggere Il Processo di Kafka per cogliere l’essenza della macchina giudiziaria) succedono “cose” quando ormai alle vecchie immagini del male si sono sostituite ed accavallate nuove immagini, nuove vittime, nuovi reality e nuove luci folleggianti di altrettanti avvenimenti mondani del male che avranno già preso il posto di quelle passate; nulla più sarà restato di “quel” crimine che pareva così sconvolgente ma che aspettava solamente di essere sconvolto da un suo erede più vertiginoso. In un eterno ritorno capace di nullificare ogni etica, del bene come del male. Come nei sogni quasi scordati interviene la giustizia, a ricordare ai protagonisti del dramma umano che “si deve fare giustizia”. Così il passato si confonderà tra figure di vittime e criminali di cui si ha un ricordo sbiadito e polveroso.
Questo è il destino della giustizia, specialmente nel tempo della riproducibilità tecnica dell’esistente, delle “news” compulsive. Questo destino da ritardatario cronico, rispetto al pendolo temporale del mondo, è il destino beffardo della giustizia. Arrivare in ritardo rispetto al tempo del “qui ed ora”; ma arrivare inesorabile. La giustizia appare così come quei lenzuoli bianchi che vengono posti sopra i corpi dei morti ammazzati per strada. Una misera copertura che sopraggiunge a posteriori, troppo a posteriori per il mondo di oggi. Senza più poter rimarginare e curare le ferite inferte dal delitto. Solo coprirle di “un velo pietoso” con la sua decisione giuridica.
Vertigine delle immagini e giustizia credono e fanno credere, ciascuna dalla propria sponda della tragicità della vita, di impersonificare un sistema in grado di ricostruire quella che Walter Benjamin chiamava l’aura, cioè dire l’irripetibilità del “qui ed ora” (dinnanzi ad un’opera d’arte ma non solo, anche un momento della natura, un accadimento, un pensiero). L’aura è il collante tra fatti nella loro pura oggettività e mondo in cui quei fatti accadono. Tutto ciò nell’idea secondo cui, un certo accadimento, avviene “lì e solo lì” perché è irripetibile l’essenza di quel luogo, dei suoi protagonisti e delle circostanze che lo caratterizzano. L’essenza di un’espressione umana e dunque della sua aura, secondo Benjamin, non può essere colta se non con un contatto diretto con l’opera umana. Il “live” voyeuristico della totale riproducibilità delle immagini e dei fatti nel nostro mondo contemporaneo non è, tuttavia, aura ma è choc puro, vertigine, pornografia, voyeurismo.
La giustizia, a sua volta, rivive, in una retrospezione storica, vicende passate; ridà virtualmente vita ad oggetti di morte che sono ancora più defunti in una contemporaneità che sancisce il funerale di qualsiasi accadimento non appena esso si trasforma in notizia e viene diffuso universalmente. In questo modo la cronaca non è più cronaca e la giustizia non è più giustizia. Almeno come le si conosceva. La sensazione è che il mondo, istante dopo istante, riesca ad inventare dei nuovi strumenti di tortura delle vecchie narrazioni: la cronaca, la giustizia, il diritto, la lotta del bene rispetto al male. Sembra che questo regno della tecnica non abbia fine.
La realtà appare come un progetto infinito per costruire, in modo sempre più scandaloso e scabroso, il mega-show del male travestito da giustizia e cronaca. Il caso di Noemi è il “brand” di moda. Lo sarà fino all’uscita della “nuova collezione” del crimine. Oggi tutto è merce: il crimine come il bene; la giustizia come l’ingiustizia. Tutto deve fare “audience” il che vuol dire fare scandalo. La giustizia, chiusa nella sua etica, ha lasciato l’estetica alla diffusione in forma scandalistica del crimine; ma, se queste due realtà non riescono a trovare una forma di convivenza, ne faranno le spese la dignità umana e la giustizia stessa. La soluzione non può certamente essere quella di rievocare un passato idealizzato, posto che, neanche negli anni della massima spiritualità, la giustizia ha dato prova di aderire a valori di perfezione (si pensi all’Inquisizione).
Forse la risposta sta nel considerare tutto quanto ruota attorno al crimine ed alla sua repressione come uno dei tanti componenti del post-moderno; una sorta di espressione degli accadimenti e delle trasformazioni del mondo al pari dell’arte astratta che ha accettato di abbandonare canoni assoluti per rappresentare l’incerto della società, dell’etica e dell’estetica del mondo contemporaneo.