Se Forza Nuova ha scatenato il panico con il suo annuncio della marcia su Roma 2.0 per fine ottobre – che sia marketing da social o un proposito è ancora tutta da vedere – del San Lorenzo Carnival, un’altra marcia che avrà luogo sabato 23 settembre nella Capitale si parla molto meno: il San Lorenzo Carnival, giunto alla seconda edizione è una manifestazione gemellata con il Carnevale caraibico-londinese di Notting Hill.
E’ una coincidenza che la street parade romana cada a un mese esatto dall’ennesima provocazione dell’estrema destra, ma sul piano simbolico l’appuntamento serve a ricordare che c’è anche la Roma meticcia che vive in pace e in armonia, non solo quella paranoica in camicia nera e Ray ban. La miglior risposta alle psicosi identitarie e alla xenofobia mainstream sono proprio eventi come questo: apertura al mondo contro l’autoghettizzazione di chi dice di parlare a nome di tutti gli italiani. Quella di San Lorenzo sarà una marcia certamente, ma colorata da ritmi caraibici e africani, dai suoni incrociati del Sudamerica, dalle danze di corpi di ballo e dai bassi pesanti dei soundsystem in stile giamaicano.
Roma come Londra, almeno per un giorno. Questa è l’ambizione degli organizzatori del Carnival di San Lorenzo, una street parade gemellata con il carnevale di Notting Hill una delle più importanti street parade al mondo.
Il Carnival londinese è da 51 anni la festa dell’orgoglio caraibico nel Regno Unito, un evento che ha aiutato con il tempo a stemperare le tensioni tra locals e immigrati delle ex colonie, contribuendo ad accorciare le distanze fisiche e culturali e soprattutto a ridurre la diffidenza reciproca tra bianchi e i nuovi arrivati. Nonostante la convivenza tra le diverse etnie oltremanica non sia mai stata facile, ora meno che mai, la musica – il reggae, lo ska e il dub – è riuscita a fare miracoli in questo senso.
Da Notting Hill a San Lorenzo cambia la cornice, ma non cambiano i simboli; anche il quartiere nei pressi della stazione Termini è multietnico e ha un passato di lotta, politica e di tensioni sociali. E come il parente acquisito a nord Ovest di Londra ospitava Dub Vendor, negozio-leggenda per gli appassionati di musica in levare, l’altro ha dato i natali al One Love music corner, un pezzo di storia del reggae italiano.
In questo delicato periodo, dove il bizzarro concetto di identitarismo antimondialista vorrebbe seppellire la società multietnica – forse uno degli obiettivi più significativi che una civilità possa porsi – eventi di questo genere sono una ventata d’aria fresca. E non solo per il messaggio diretto e comprensibile a tutti, fuori da quegli schemi intellettuali un po’ morettiani che hanno condannato una certa sinistra al salotto a vita, ma anche grazie all’esempio organizzativo e al modello che propongono.
La street parade vedrà certamente sfilare l’identitarismo delle “nostre minoranze”, ma una versione cordiale e condivisa: gruppi di ballo come Zamacueca che promuove in Italia musica folkloristica argentina, Ensamble che diffonde musica tradizionale venezuelana, e I tamburi di Gorée a rappresentare il Senegal e l’Africa occidentale. Il reggae è presente con due “soundsystem” autoctoni romani, One Love Hi Powa e Cool Runnings, attivi da oltre 20 anni. Tra gli organizzatori del Carnival anche il progetto multiculturale Baobab Experience e l’Associazione persone down, a testimonianza dell’enorme valore sociale dell’iniziativa.
Se la rete è diventata il fortino di populismo, xenofobia e individualismo esasperato il Carnival promuove valori diametralmente opposti: socialità offline (quindi reale), nessun biglietto da pagare, piccoli sponsor e l’impegno di realtà associative del mondo solidale e culturale per tutti, non solo “per italiani”. Un’applicazione del concetto “glocal” e un’occasione per vedere in pratica i principi solidali di quella terza via, no populismo e no turboliberismo che i tanti delusi dall’offerta politica cercano da tempo.