Sui muri di Berlino, come di altre città tedesche, campeggiano foto in bianco e nero di una bambina accanto al simbolo della Cdu. Una bambina di tre anni come ce ne sono tante, se non fosse che lei è Angela Merkel, fotografata nel giardino di casa nel 1957. Lo slogan che accompagna l’immagine arriva dritto al punto: “per una Germania in cui ognuno può diventare qualunque cosa”. La sua Unione anche da questo ha tratto vantaggio, visto che i sondaggi in vista delle politiche del 24 settembre la danno avanti di 13 punti (tra il 33 e il 36%) nei confronti dei socialdemocratici di Martin Schultz (21-23%), che a sua volta si esibisce sulla Bild con una foto del suo primo giorno di scuola a Wuerselen, nel 1962, in giacca e pantaloni corti. Con minore fortuna, a quanto pare.

I sondaggi però, anche quelli più netti, sono come il vento. Possono cambiare direzione. Lo sa bene la Cancelliera, che in tv ha spinto i tedeschi alle urne: “Io mi rivolgo a tutti: le elezioni non sono decise. La Cdu non ha alcun voto da regalare, e parlo anche per la Csu“. In quel “tutti” c’è anche uno dei comparti strategici dell’industria domestica, quello dell’auto. “Una forza trainante, non solo per la Germania”, come la stessa Merkel l’ha definita. Una forza, tuttavia, che da quell’infausto settembre 2015, quando scoppiò la grana dieselgate, sta cercando di riconquistare fiducia sia in patria che all’estero. Una sorta di operazione elettorale anche questa, a ben vedere.

Una partita a scacchi in cui la Merkel ha sempre avuto un ruolo attivo, ma che mai come in questo momento la vede compiere equilibrismi degni di un funambolo. Perché se da un lato c’è il sacrosanto dovere di difendere la salute dei cittadini (elettori), come vogliono fare alcuni tribunali locali minacciando di vietare la circolazione alle auto a gasolio, e sarebbe uno psicodramma per l’industria nazionale delle quattro ruote, dall’altro bisogna tutelare gli interessi di un comparto che dà lavoro a 800mila persone in Germania con un fatturato di 400 miliardi di euro. Ma che soprattutto, ora, è un serbatoio di voti.

Logico dunque dare un colpo al cerchio e uno alla botte, com’è successo di recente sul palcoscenico del salone dell’auto di Francoforte, la più importante kermesse motoristica del paese. Dove prima la Merkel ha ammonito i costruttori (“vogliamo aria pulita per le persone, le case devono aggiornare al più presto i software dei motori diesel”) e poi ne ha lodato l’operato, spostando l’attenzione sulle nefandezze altrui (“anche i costruttori stranieri devono dare il loro contributo”). Un chiaro riferimento alla querelle con l’Italia sponda FCA, che il ministero dei Trasporti di Berlino accusò di taroccare le emissioni relative ai motori diesel di alcuni modelli, tra cui la Fiat 500X. Il che ha portato all’apertura di un procedimento d’infrazione a carico del nostro Paese, lo scorso maggio.

Un altro assist per l’auto tedesca è venuto poi dalla necessità, sottolineata dalla Merkel stessa, di “sviluppare alimentazioni alternative“: sempre a Francoforte i “campioni” nazionali Bmw, Daimler e Volkswagen hanno infatti annunciato un ambizioso piano di elettrificazione della trazione, con 40 miliardi di investimenti complessivi solo nei prossimi tre anni. Peccato che in Europa le auto elettriche valgano solo l’1,2% dell’immatricolato totale, e dunque per fare soldi si debba continuare a vendere il caro vecchio diesel: “i motori a combustione dureranno ancora per decenni, bisogna renderli più efficienti”, ha concluso frau Merkel. Chissà se domenica gli elettori saranno d’accordo con lei.

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