Non è in ballo il successo, il quarto consecutivo, della cancelliera: è annunciato. Quel che conterà sarà come impostare il rilancio dell’Unione, proteggendola dalle insidie dei suoi nemici, esterni ma soprattutto interni
LIPSIA. Niente spasmodica attesa, niente incubi o paure suscitati dall’incertezza, dai dubbi, dai fantasmi della demagogia, del populismo, degli estremismi devastanti. Prima del calcio di rigore, cioè del voto, i tedeschi sanno già che la Cancelliera sarà in grado di parare il tiro, di respingere il pallone calciato dall’avversario: già lo vedono in azione, puntare lo sguardo verso la rete per fiondare il pallone: un tiro debole e prevedibile. Sanno che ancora una volta, ma stavolta più che in passato, Angela Merkel sarà capace di salvare il risultato elettorale. Di portare così la squadra nazionale a disputare da favorita il campionato europeo: grazie al Brexit, non c’è partita. Né si illuda l’ambizioso quanto velleitario Emmanuel Macron: non è lui che sarà in grado di “salvare” l’Europa, come aveva proclamato con l’enfasi da piccolo Napoleone, la supponente, lunga, studiata camminata al Louvre, accompagnata dalle note dell’Inno alla gioia di Beethoven, che è l’inno ufficiale dell’Unione Europea. La Merkel non ha bisogno di questi trucchi. Di questa scenografia. Lei rappresenta la forza, la sicurezza, la concretezza. Semmai, quel che conterà sarà come impostare il rilancio dell’Unione, proteggendola dalle insidie dei suoi nemici, esterni ma soprattutto interni.
Il desiderio profondo di stabilità è un dato costante e quasi ossessivo della cultura politica tedesca, soprattutto dopo la caduta del Muro. Lo è anche tra i più consapevoli dei cittadini europei. Perciò, già oggi è lecito, anzi indispensabile, chiedersi quali potrebbero essere i riflessi (le incidenze, direbbero i diplomatici) di questo voto in Germania sulle sue relazioni con l’Unione Europea. Perché non è in ballo il successo, il quarto consecutivo, della Merkel: è annunciato. E’ previsto. E’ sentenziato dai sondaggi. E anche l’alchimia del dopo, con chi cioè Angela Merkel governerà, in fondo è un problema relativo. Squadra che vince generalmente non si cambia: si migliora. Abile costruttrice di sentimenti popolari e condivisibili – ragionevolezza, pacatezza, ottimismo cioè speranza, fiducia – la Merkel ha reso la Germania più forte di come l’aveva trovata. Era diventata, anche a causa dell’unificazione con la defunta Ddr, la “malata d’Europa” negli anni Novanta. Oggi il “modello tedesco” è portato ad esempio, l’economia è stata raddrizzata ed è tornata ad essere la più solida economia europea: dopo le ripetute crisi finanziarie dei rivali anglosassoni, la Germania è diventata il nuovo faro dei liberali in economia.
Certo, a prezzo di grossi sacrifici: anche qui, specie nella Germania dell’Est, il fossato tra i più ricchi e i più poveri non cessa di allargarsi. Lo scontento favorisce gli estremismi, i giovani sono impazienti, non ragionano a lungo termine, per loro il progresso attuale è portatore solo di ineguaglianza, di un futuro opaco, senza garanzie. E’ il buco nero della società. Di recente, come mi ha detto Florian Thomas, uno studente diciottenne di Wittenberg, “ho assistito ad un comizio dell’Afd, la destra xenofoba, islamofoba e antieuropeista: c’erano molti della Die Linke, la sinistra radicale e altri del partito neonazista”. Il rischio, teme Florian, è che decidano di votare Afd per rafforzarla e superare la fatica soglia psicologica del 10%, così da imbarazzare seriamente la Merkel perché se diventasse il terzo partito al Bundestag potrebbe incrinare seriamente l’immagine merkeliana e spaventare l’Europa, rilanciando le opzioni populiste antiprofughi e contro Bruxelles negli altri Paesi, a cominciare dall’Italia.
Non a caso, nell’unico confronto televisivo tra la Merkel e il suo rivale socialdemocratico Martin Schulz, nessuno dei due ha detto di voler lasciare l’euro, di bloccare le frontiere o di riportare il limite pensionistico a sessant’anni. La costruzione europea era data per scontata. Anzi, pareva che proprio il concetto di stabilità – l’alternativa comune del centro destra e del centro sinistra – fosse subordinato all’avvenire dell’Europa, alla necessità di ammorbidire la rigidità sul rispetto delle regole e degli impegni per non acuire le tensioni coi partners europei.
L’ideale della Merkel è quello di sbarazzarsi di ogni qualsivoglia battaglia ideologica (eredità che inquina il clima politico della Germania dell’Est, perché nella Ddr il regime era iperpoliticizzato e tutto ideologico). Lo spiega Thomas Wieder, giornalista di Der Spiegel: la Merkel, per riassumere quel che ha scritto, vorrebbe un paese dove la politica non è più quell’universo drammatico in cui si affrontano “differenti visioni del mondo, come una volta, ma uno spazio di pura gestione tecnica in cui si regolano i problemi giorno per giorno, con grande flessibilità e senza fortemente molta coerenza”. Tant’è che una peculiarità merkeliana (apprezzata dai tedeschi) è la capacità di cambiare radicalmente politica, in base al contesto e all’evoluzione delle esigenze espresse dall’opinione pubblica. Per cui, che senso ha cambiare cancelliere se è lo stesso cancelliere a cambiare politica?
Il ragionamento vale ancor di più per quel che riguarda l’Europa: la Merkel è un punto fermo, un punto cioè di sicuro affidamento. Con lei la Germania resta un partner fidato e prevedibile. Del resto, l’88% dei tedeschi sono convinti (lo afferma un sondaggio dello scorso giugno) dei vantaggi che l’adesione all’Unione ha apportato alla Germania. E oltre il 90% giudica che una cooperazione crescente tra i paesi dell’Unione permetterà di affrontare nel migliore dei modi le sfide cruciali che rappresentano il terrorismo e la crisi dei migranti. Non solo: un’analisi della congiuntura sociale e politica dimostra che i tedeschi non vogliono una Europa tedesca, ma una Germania europea. Di questo ne è pienamente consapevole la Merkel. Così come lo è del fatto che la Germania è perfettamente consapevole – ne ha coscienza, direbbero i politologi – dell’importanza vitale della globalizzazione e del libero scambio mondiale per la prosperità dell’Europa. Un effetto collaterale è che la maggioranza dei tedeschi è convinta che la cooperazione internazionale è indispensabile perché soltanto in questo modo si potranno controllare e padroneggiare l’ampiezza e le conseguenze deleterie del cambiamento climatico. Guarda caso, l’opzione “verde” è tra le priorità della Merkel, che spesso nella sua puntuta campagna elettorale ha fatto sue le argomentazioni dei Verdi…
In definitiva, qual è il messaggio che la Merkel, rafforzata dal suo probabile quarto incarico di Cancelliera, consegnerà ai leader d’Europa, e in particolare, allo scalpitante Macron? Che con lei la Germania tutela i valori fondamentali della democrazia – resa più flessibile ed aggiornata alle nuove problematiche socioeconomiche – li rispetta, poiché il progetto di rafforzamento dell’Unione passa attraverso riforme e non diktat, concessioni reciproche e una cultura strategica collettiva. Il che va oltre il dibattito franco-tedesco su chi avrà o no la supremazia in Europa. Perché è illusorio pensare che Berlino e Parigi possano, solo loro, decidere la sorte dell’Europa. Il cammino da percorrere è difficile, gli ostacoli – alimentati dai nemici dell’Unione, a est e a ovest – ardui ma sormontabili, ecco quel che dirà la Merkel, la mia cura non è imporre un direttorio, ma un’agenda in cui i compromessi abbiano i contorni meno ambigui degli accordi: “Sono gli Europei, non io, non noi tedeschi, a prendere il destino nelle proprie mani”.