La settimana dei Mondiali di ciclismo è sempre particolare per gli appassionati. Tutti conoscono da tempo il percorso, le opinioni dei tecnici, del commissario tecnico che ogni anno è fiducioso ma che ci dice sempre che non partiamo da favoriti anche se ce la giochiamo.
La settimana parte lentamente ma come la febbre, sale rapidamente per trovare il suo picco la domenica della gara dei professionisti. Negli ultimi due anni ce la siamo giocati un po’ male stando al prestigio del nostro movimento, il miglior piazzato nel biennio “Saganiano” è stato Nizzolo, 18° a Richmond e 5° a Doha. Vedremo che succederà a Bergen in Norvegia, abbiamo una squadra interessante stavolta. Personalmente mi hanno divertito anche alcune edizioni in cui gli azzurri non sono saliti sul podio, e succede sistematicamente dal 2008. A Varese 2008 c’ero, ho fatto il volontario in sala stampa per tutta la settimana. Una esperienza che consiglio ai giovani appassionati di eventi sportivi e giornalismo. Di giornalismo forse se ne fa poco ma si ha l’opportunità di vedere e conoscere “quelli bravi” all’opera e se possibile rubargli qualche segreto. I volontari si danno da fare e io non fui da meno visto che mi capitò anche di portare delle casse d’acqua ai ciclisti o spostare tavoli e tv con il capo del comitato organizzatore. Trovai degli amici, uno di loro, senza conoscermi neppure mi ospitò a casa sua (grande Massimiliano), tutti vogliosi di vivere a pieno una grande avventura italiana. Quel mondiale andò benissimo con Alessandro Ballan oro, Damiano Cunego argento e io che, alla vigilia della corsa, fui festeggiato a cena da un centinaio di colleghi volontari che scoprirono che era il mio compleanno e mi toccò salire sulla sedia per ringraziarli del loro applauso festoso.
Come dimenticare un mondiale così, la potenza della prova élite, come si chiama da qualche anno, è che ti attacca allo schermo, al cellulare, al pc, o alle transenne, ovunque tu sia e per tutte le 8 ore di corsa.
Varese a parte, la mia storia personale parte dalla nottata fatta per seguire quello del 1990, a Utsunomiya in Giappone. Gianni Bugno chiuse terzo ma valeva già l’oro, lo stesso che conquistò nei due anni successivi a Stoccarda e Benidorm. Il 1993 con Fondriest solo 5° rivelò al mondo Lance Armstrong, il 1994 ad Agrigento, nella mia Sicilia, una coppia francese beffò un generoso Chiappucci, splendido argento. Una coppia spagnola, a Duitama nel 1995 precedette l’indimenticabile Marco Pantani. Dal 1996 al 2000 fummo catapultati nell’era Michele Bartoli: terzo a Lugano e Valkenburg, decimo a San Sebastian e quarto a Plouay nel 2000. Dal 1999 in poi, che denominerei era Oscar Freire, entrò in scena un altro fenomeno delle corse di un giorno. Paolo Bettini, cresciuto come gregario proprio di Bartoli, supera il capitano in bravura e freddezza. Prima si rafforza assaggiando il sapore amaro della sconfitta, nel 2001 a Lisbona arriva secondo ovviamente battuto da Freire, poi quarto ad Hamilton nel 2003 ma è protagonista del macchinario perfetto che lanciò la volatona iridata di Mario Cipollini nel 2002 a Zolder. Il “Grillo” raccolse tutto questo e ne fece tesoro finché non arrivò il suo momento: una storica doppietta, 2006 e 2007. E così si torna al 2008, quando il podio era quasi tutto azzurro e Bettini si congedò salutando le due ali di folla già festanti. Da allora sul podio non ci abbiamo più messo piede.
Lo abbiamo sfiorato con Filippo Pozzato a Melbourne nel 2010, con Vincenzo Nibali a Firenze nel 2013 dove comunque mi emozionai per il cuore che ci mise lo Squalo e per il fatto di aver visto la gara sul traguardo con mio fratello, mio padre e la mia prima nipotina che indossava già una mini maglia iridata. Questa maglia e il sogno di indossarla è ciò che da 90 edizioni smuove la passione: del ciclista che vorrebbe farla sua e sfoggiarla per un anno intero e del tifoso che ogni anno attende questo giorno per sperare di viverlo perennemente connesso alla gara. La ciliegina sulla torta è sempre la vittoria del proprio beniamino in azzurro, si tifa Italia, sempre. La seconda opzione è quella di assistere a una bella gara vinta da un campione e non da una meteora. Forza azzurri dunque, ma se Peter Sagan dovesse fare un tris mai riuscito a nessuno, ci sarebbe solo da inchinarsi alla storia di questo sport.