Sedici anni per un processo: così gli abusi commessi su una minorenne finiscono prescritti. La terza sezione penale della Cassazione ha annullato, per intervenuta prescrizione, la sentenza con cui la Corte d’appello di Torino aveva condannato l’educatrice di una comunità di recupero per minori per aver costretto la giovane ad avere rapporti col marito, nel frattempo morto suicida, e con l’amante, anche lui condannato. Arturo Soprano, presidente della Corte d’appello di Torino, parla però “di alcune anomalie” che sono emerse nell’iter del processo. Il magistrato ha cominciato ad acquisire informazioni e a svolgere accertamenti. “Se dovessero ravvisarsi delle responsabilità – ha aggiunto – prenderemo dei provvedimenti”.

Gli abusi – L’ultima parola di questa storia di lentezza giudiziaria, riportata dal quotidiano Repubblica, è stata scritta giovedì sera: con l’annullamento della sentenza della Corte d’appello i responsabili degli abusi restano liberi. E impuniti. La storia inizia nel 2001 quando una ragazza sedicenne, vittima di abusi da parte del padre, viene affidata ad una comunità a Torino che in teoria avrebbe dovuto proteggerla e sostenerla. Ma in comunità la giovane è a sua volta vittima di abusi da parte di un’operatrice che la costringe anche a partecipare a orge.

Il processo inizia nel 2002, quando la ragazza, grazie ad un’altra operatrice del centro, trova il coraggio di denunciare l’educatrice che avrebbe dovuto aiutarla a superare le violenze subite in precedenza dal padre, e invece abusava di lei. La condanna di primo grado arriva nel 2007, ma gli imputati fanno appello. La sentenza di secondo grado è invece del settembre 2016 e viene depositata lo scorso febbraio. Dieci anni dopo la prima. Troppo tardi per evitare la prescrizione.

Le “anomalie” nel processo – Secondo le prime informazioni raccolte da Soprano, che verranno verificate nei prossimi giorni, a fronte di episodi avvenuti nel 2002 la procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio degli imputati nel 2003. Ma il processo di primo grado – “per motivi che intendo accertare”, dice il presidente – è terminato solo nel 2007, nonostante fosse un rito abbreviato. Il fascicolo, per quella che lo stesso magistrato ha definito “una strana anomalia“, è giunto in una sezione della Corte d’appello nel 2013. Per il secondo grado di giudizio ci sono voluti altri tre anni. La stesura delle motivazioni della sentenza d’appello, invece, è stata eseguita nei termini di legge. “Per il momento – riassume Soprano – abbiamo avuto un pubblico ministero solerte, che ha chiuso in fretta le indagini preliminari, un processo di primo grado con tempistiche da lumaca, un periodo di vuoto fra il 2007 e il 2013, tre anni per fissare l’udienza. Accerteremo il motivo”.

Un fascicolo che in qualche modo è sfuggito ai controlli organizzati da tempo in Corte d’appello a Torino per lo smaltimento degli arretrati. Questo il quadro che si delinea. Soprano si è insediato nel luglio del 2015. “Sapevo – spiega – che in precedenza erano state dedicate attenzioni particolari alle pendenze delle sezioni civili. Al mio arrivo, preso atto della situazione di quelle penali, ho cambiato la musica“. Fissazione di criteri di priorità e creazione di sezioni ‘stralcio’ sono state le iniziative principali. Ad esse si è aggiunto, nei primi mesi del 2017, il lavoro di una speciale commissione di monitoraggio che ha esaminato una media di 50-100 fascicoli al giorno e, sulla base del rischio prescrizione e della tipologia di reato, ha preso i provvedimenti necessari.  Il fascicolo chiuso giovedì sera dalla Cassazione è stato investito dal giudizio di secondo grado, però, nel 2016, dopo essere arrivato in Corte d’appello nel 2013. “C’è una stasi – ha concluso Soprano – che al momento non sappiamo spiegare”.

I due precedenti – Un caso clamoroso di giustizia lumaca che a Torino ha due precedenti di appena qualche mese fa. Era il febbraio scorso quando un uomo condannato a 12 anni in primo grado per violenza sessuale nei confronti di una bambina veniva prosciolto per intervenuta prescrizione. Colpa di nove anni di attesa prima che iniziasse il processo in appello. Allora il magistrato che aveva dovuto emettere la sentenza aveva detto: “Questo è un caso in cui bisogna chiedere scusa al popolo italiano”. Il 25 maggio 2017 si era invece aperto il processo d’appello per un uomo condannato in primo grado per aver abusato della nipote, 15enne all’epoca dei fatti. Ma anche questa volta il reato era ormai prescritto: i fatti risalivano al 2001.

 

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