Se qualche anno fa Grillo si disse stanchino, forse ora si può definire esausto. Quando guarda Luigi Di Maio prendere in mano il Movimento davanti ai suoi occhi la sente la vocina in fondo alla testa che gli dice non sarà una passeggiata, ma non aveva scelta. Grillo è come la sua piazza, a quel posto avrebbe voluto uno come Di Battista, uno che si incatena se gli dicono di no e che il grigio come colore di mediazione tra il bianco e il nero non lo concepisce. Ma Gianroberto Casaleggio e il figlio Davide gli hanno detto che per vincere non si fa così e lui si fida. Per tutta Italia 5 stelle ha deciso di starsene dietro il palco.
Ha improvvisato i Blues brothers alle 9 del mattino quando ancora gli attivisti nemmeno si erano svegliati, poi ha dato la sua benedizione al nuovo leader con una finta catena di schiavitù al collo. Ecco schiavo, lui non vuole più essere schiavo della sua creatura. Poi c’è la questione dei ricorsi e delle denunce degli espulsi: lui di quelle faccende lì non vuole più occuparsi. “Ora hanno il tuo indirizzo”, ha detto a Di Maio dal palco scherzando. Ma chi più di comico sa che lo scherzo non esiste. Grillo resta il garante per carità: torna quando vuole e ogni giorno, come da regola ormai stabilita, vigilerà su quello che i suoi faranno in Parlamento e fuori. La faccia sul progetto è la sua e piuttosto che vederlo andare a picco tornerà a sacrificarsi.