L’Europa ha fatto poker. E Angela Merkel pure. L’Ue infila il quarto risultato elettorale positivo consecutivo, nell’anno che metteva alla prova la tenuta dell’integrazione, proprio dal punto di vista del sostegno dei cittadini. E la Cancelliera ottiene il quarto mandato consecutivo, nonostante l’arretramento del suo partito e lo sgretolamento dei suffragi alle formazioni maggiori: Cdu ed Spd insieme rappresentavano fra i due terzi e i tre quarti dell’elettorato tedesco e ora ne sono poco più della metà; e c’è spazio per ‘l’esplosione’ di AfD, il rafforzamento dei liberali ed il mantenimento di Verdi e Linke (mai visti tanti partiti nel Bundestag).
Se il poker europeo diventerà pokerissimo, lo deciderà il lancio di dadi delle elezioni politiche austriache del 15 ottobre, sinora eclissate nell’attenzione generale da quelle tedesche.
Non facciamo qui un’analisi del voto di ieri in Germania. Ci soffermiamo su poche considerazioni di carattere europeo: sommando i suffragi di AfD e Linke, gli euroscettici – di destra e di sinistra – rappresentano poco più d’un quinto degli elettori. Fa impressione il balzo in avanti dei nazionalisti xenofobi e anti-migranti, e la loro forza fra i giovani dell’Est, ma la tenuta democratica e l’ancoraggio europeo della Germania non paiono in discussione.
Quanto al ruolo che la ‘Merkel 4’ giocherà sullo scacchiere europeo, molto dipenderà dagli accordi di governo con liberali e Verdi, se saranno davvero questi i suoi alleati. Per l’Italia e per quanti puntano all’allentamento del rigore, il nuovo team tedesco potrebbe non essere una buona notizia.
Il riscatto elettorale dell’Ue era cominciato in Austria il 4 dicembre, da noi un po’ in sordina, perché l’Italia pensava al referendum: a dispetto dei pronostici, il verde Alexander van der Bellen battè, nella ripetizione delle presidenziali – le prime erano state annullate -, il candidato d’estrema destra Norbert Hofer. I tre round del voto austriaco avevano generato suspense in tutta l’Unione, visto che Hofer aveva chance di successo concrete.
Era l’indizio che i popoli europei tiravano la loro lezione dalle consultazioni ‘terremoto’ del 2016, cioè il referendum sulla Brexit e le presidenziali statunitensi.
Il percorso netto dell’Unione europea s’è poi sviluppato attraverso le elezioni politiche olandesi, svoltesi il 13 marzo, e le presidenziali francesi del 23 aprile e 7 maggio (un risultato poi confermato e amplificato dalle politiche dell’11 e 18 giugno). Tappa dopo tappa, populisti, xenofobi, estremisti di destra, euroscettici non hanno sfondato, nonostante in tutti i casi vi sia stato un netto arretramento delle forze politiche tradizionali, in particolare dei socialisti, ‘ostaggi’ e capri espiatori, in Olanda come in Germania, di ‘grandi coalizioni’ in cui erano subalterni a schieramenti conservatori.
In Olanda, i liberali del premier uscente Mark Rutte si sono confermati primo partito. Geert Wilders e i suoi populisti islamofobi e anti-europei si sono attestati al 13,1%, in crescita, ma senza sfondare. Anche grazie all’affluenza record, superiore all’81%, solo un elettore olandese su 7/8 si fa rappresentare in Parlamento da un euroscettico.
In Francia, il primo turno delle elezioni presidenziali vede la marea degli anti-europei andare molto vicino al 50%, tra il 21% del Fn, il 19% della sinistra di Jean-Luc Melanchon e le percentuali minori di altre sigle di estrema destra e di estrema sinistra. Ma al ballottaggio Emanuel Macron conquista l’Eliseo con i due terzi dei suffragi e inaugura il suo settennato con l’Inno alla Gioia di Beethoven, l’inno europeo, prima della Marsigliese.
Adesso, la Germania conferma senza esitazioni la scelta europea, nonostante spostamenti di forza interni considerevoli. L’Ue, che rischiava d’affondare nel 2017, resta a galla e può ora affrontare con maggiore baldanza il mare aperto d’un periodo meno turbato da appuntamenti elettorali: di qui alla primavera 2019, l’ultimo terzo della legislatura europea può essere un momento di crescita dell’integrazione e d’apertura di nuovi fronti comuni, sicurezza e difesa.
Elemento determinante sarà la capacità di Merkel e Macron, in primo luogo, dei loro partner e delle istituzioni comuni di rispondere alle attese e alle priorità dei cittadini europei: una politica dell’immigrazione e più lavoro.
Mi sono dimenticato qualcosa? Certo, ci sono pur sempre le elezioni italiane, fra sei mesi o giù di lì, con la prospettiva che gli euro-convinti siano minoranza rispetto a euroscettici ed eurocritici. Ma quest’Italia, oggi, può essere spalla di un processo di rilancio o vagone al traino, ma non mi pare avere né la forza per guidare né il peso per frenare.