di Marco Marangio
Infine il popolo pentastellato del web ha scelto: Luigi Di Maio sarà il candidato premier del Movimento 5 Stelle per le prossime politiche 2018. Al termine dell’annuncio ufficiale fatto a Rimini, il parere generale che alberga nella mente di chi, soprattutto, ha visto nascere il movimento di Grillo e l’ha sostenuto da principio è che, piuttosto che fare delle primarie “fake” sarebbe stato più opportuno non farle affatto.
Potrebbe apparire paradossale, eppure se il candidato fosse stato nominato direttamente da Beppe Grillo non sarebbe stato così autolesionista come lo è stata quest’ultima votazione sulla piattaforma Rousseau. I giornali ed i mass media tutti avrebbero comunque e ugualmente criticato a prescindere tale azione, ma la stessa avrebbe avuto una connotazione più logica.
Anzitutto è bene ricordare che il Movimento 5 Stelle, nel bene e nel male, è una realtà ancora giovane, in via di (perenne?) sviluppo. Come tale, è ovvio che non abbia correnti divergenti al proprio interno. Anche perché le poche voci fuori dal coro che si sono espresse in più occasioni sono state screditate immediatamente. Basta dare un’occhiata alla storia politica di Federico Pizzarotti.
Correlato a questo aspetto c’è un dato di immagine mediatica importante che si è consolidato nel tempo a suon di campagne elettorali, referendarie (e non solo): i “colossi” pentastellati sono due, Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio. Il primo ha sempre funzionato in piazza come trascinatore e amplificatore, il secondo è stato sempre visto come il rappresentante istituzionale e moderato del movimento. Era un parere condiviso e diffuso prima del 23 settembre e oggi lo è ancora di più. Era lapalissiano il fatto che Luigi Di Maio, in una futura e potenziale formazione di governo, sarebbe stato il primo ministro ed il suo collega avrebbe giocato il ruolo del leader.
Pertanto, alla luce del prevedibile abbandono di Alessandro Di Battista alle primarie, c’era da chiedersi: è necessaria una votazione? Evidentemente no, visti i presupposti.
D’altronde, il Movimento 5 Stelle ha per anni criticato aspramente il modus operandi del Partito democratico in merito alle primarie, perché i risultati erano sempre ampiamente prevedibili. Critica, quest’ultima, condivisibile in pieno. Proprio per questa ragione, il M5S avrebbe potuto fare a meno di candidare un big come Di Maio insieme ad altri nomi sconosciuti, finora, nell’universo pentastellato.
Quel che viene fuori da questa vicenda mal gestita è l’ennesimo harakiri in pieno stile Kurosawa. Non è dato sapere per quanto ancora il Movimento continuerà a offrire ai cittadini, e ai suoi elettori, errori come questo. In principio ci si poteva appellare all’inesperienza, al non appartenere alle vecchie nomenclature del passato. Adesso il Movimento deve dare una prova di maturità: diventare un partito serio. Magari partendo con la messa in panchina di Beppe Grillo.
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