Dopo la nota arriva il compito di castigo. Non ci potevo credere. Quando ho letto sul diario di M. la punizione della maestra ho pensato di aver in mano uno scritto di trenta o quaranta anni fa. Invece no. La maestra dalla penna rossa ha colpito ancora. Di fronte al vociare, al caos che sicuramente M. e i suoi compagni avranno fatto in un momento in cui erano in settanta – ottanta o forse più, tutti insieme in mensa, cosa ha fatto quest’insegnante?

Anziché prendersela con chi ha deciso di mettere tutti quei ragazzi in una sola stanza; al posto di prendere carta e penna e scrivere al suo/sua dirigente che magari mai ha messo piede nel refettorio; invece di cercare di capire quanti maestri devono essere presenti in mensa, ai suoi bambini ha dettato il compito di castigo: “Scrivo dieci volte la frase che mi ricorda come devo comportarmi in mensa e nel dopo mensa: quando sono in mensa e nel dopo mensa devo comportarmi correttamente e rispettare le regole”.

Ora io comprendo perfettamente il disagio, l’amarezza, lo sconforto di questa maestra che si sarà trovata smarrita di fronte a un folla di bambini urlanti che mentre mangiano parlano, si divertono ovvero fanno quello che farebbero 80 adulti messi in un ristorante.
Ma possibile che l’unica idea che possa essere venuta a questa maestra sia stata quella di dare un castigo a dei bambini obbligandoli a scrivere per dieci volte una frase che nessuno di loro avrà veramente compreso e appreso?

Quel “castigo” mi ha ricordato il bambino messo dietro la lavagna. Ha lo stesso valore simbolico. C’è sempre un insegnante che ti giudica, che ti punisce, che sceglie la strada più comoda, che preferisce esercitare quel minuscolo potere che ha per castigare, per accusare. Quel compito di castigo andava dato a qualcun altro: a chi non si interroga sul perché le nostre mense sono caotiche e rumorose. A chi non ha mai messo piede in quella sala refezione e tuttavia impone regole.

Nella Casa dei bambini di Maria Montessori la mensa era nelle singole aule: la pedagogista aveva ben compreso il valore di quel momento e aveva fatto in modo che fosse davvero un momento educativo dove i bambini erano protagonisti, partecipi e non utenti passivi. Resta tutta l’indignazione per quel sostantivo usato.

La valenza della punizione in quanto metodo educativo è stata oggetto di controversie, in particolare nel XX secolo: ricerche di carattere psicologico e psicoanalitico, svolte per esempio da Bruno Bettelheim, Donald Woods Winnicott e Alice Miller, hanno evidenziato (con varie motivazioni) la scarsa utilità e persino la nocività di un approccio educativo basato sulla punizione, in particolare fisica.

Vorrei dare un compito a chi pensa ancora ai castighi: la lettura de Il diritto del bambini al rispetto di Janusz Korczak.

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