Edoardo Mazza, avvocato 38enne eletto nel 2015 con Forza Italia, è accusato di corruzione. In totale sono 27 le misure cautelari dell'inchiesta, una costola dell'indagine "Infinito". In cambio di voti il primo cittadino Edoardo Mazza avrebbe aiutato Antonino Lugarà a ottenere una convenzione per realizzare un centro commerciale. Indagato anche l'ex vicepresidente della Lombardia Mantovani. L'intercettazione: "Mario c'ha una potenza indescrivibile"
C’è un nuovo capitolo dell’inchiesta Infinito. Sette anni dopo, come spiega in conferenza stampa l’aggiunto della Dda Ilda Boccassini, nulla è cambiato: le infiltrazioni mafiose nelle istituzioni sono un “sistema”, che vede omertà e convenienza andare a braccetto. Ed è così che la nuova fotografia appare: politici corrotti, imprenditori in odor di ‘Ndrangheta pronti a portare voti in cambio di facilitazioni negli affari. Ed è per questo, aver aiutato un imprenditore edile legato alle cosche (che voleva ottenere una convenzione per realizzare un centro commerciale nel Comune brianzolo) in cambio di voti che è stato arrestato con l’accusa di corruzione il sindaco di Seregno Edoardo Mazza, avvocato 38enne eletto nel 2015 con Forza Italia. Per lui il gip ha deciso la misura degli arresti domiciliari. È uno dei 24 arrestati nell’operazione dei Carabinieri, per reati che vanno dall’associazione di tipo mafioso all’estorsione.
Secondo gli investigatori l’uomo d’affari Antonino Lugarà è stato “determinante” per l’elezione di Mazza, che nel 2015, ex assessore all’Urbanistica della giunta precedente, si è candidato con Fi e il sostegno dalla Lega Nord e di due liste civiche. Lo stesso imprenditore avrebbe intrattenuto rapporti con altri politici del territorio e coltivato frequentazioni e rapporti fatti di reciproci scambi di favori con esponenti della criminalità organizzata. Tra gli indagati c’è l’ex vicepresidente della Lombardia, ora consigliere regionale di Forza Italia, Mario Mantovani, già arrestato due anni fa in un’altra inchiesta, è indagato per corruzione (non gli vengono contestati reati di mafia). È Mantovani il filo rosso che, secondo gli inquirenti di Milano e Monza, unisce l’imprenditore Antonio Lugarà e il sindaco di Seregno. E Lugarà, “è parte del capitale sociale della ‘ndrangheta o mondo di mezzo nell’accezione delle indagini romane, che è il trait d’union tra il potere politico istituzionale e la ‘ndrangheta – secondo la pm della Dda di Milano Alessandra Dolci – ‘ndrangheta che continua ad acquisire consenso anche nella nostra regione, ‘ndrangheta che appare come ormai organismo sociale risolutore di problemi per cui per un recupero crediti ci si rivolge alla ‘ndrangheta, per la risoluzione di una controversia civile ci si rivolge alla ‘ndrangheta”.
Mantovani “politico di riferimento” di Lugarà
Proprio Mantovani è considerato “il politico di riferimento” di Lugarà. Un legame, quello tra Mantovani e l’imprenditore finito in carcere che “è risultato a chiare lettere – secondo quando scrive il gip di Monza Pierangela Renda nell’ordinanza di custodia cautelare – dal tenore di un’intercettazione del 27 luglio 2015 nel quale Lugarà ha dato atto al suo interlocutore del ruolo dirimente di Mantovani anche nelle competizioni elettorali amministrative di Seregno del giugno 2015, ove la famiglia Lugarà ha potuto collocare all’interno del consiglio comunale il proprio uomo di fiducia, Stefano Gatti, poi effettivamente eletto”. Nelle carte viene anche certificato l’incontro tra il sindaco Mazza e Lugarà il 22 giugno 2015.
Un legame tra Lugarà e Mantovani che emerge anche in una intercettazione di cui è protagonista il figlio dell’imprenditore: “Lo abbiamo messo a fare il consigliere e presidente di Giunta (…) non sapevo chi cazzo mettere (…) abbiamo messo lui e ha vinto (…) non ha fatto neanche la campagna elettorale .. i voti vabbé me li ha dati Mario” riferendosi all’elezione a Seregno del consigliere Stefano Gatti, finito ai domiciliari. Nell’ordinanza del gip di Monza Pierangela Renda si ricostruiscono, infatti, anche i “contatti” tra il costruttore Lugarà, ritenuto vicino alla ‘ndrangheta, e Mantovani. “Contatti – scrive il gip – collocati in un sistematico e più allargato operato di Lugarà Antonino e dei suoi congiunti, improntato nel tempo a garantire e sostenere, a vario titolo, i soggetti politici di maggiore rilievo in sede locale e regionale all’evidente finalità di assicurarsi all’interno dei settori istituzionali i necessari canali di collegamento“. Negli atti, poi, si fa riferimento anche a “contatti” in passato tra l’imprenditore e l’ex assessore lombardo Massimo Ponzoni, che venne arrestato nel 2012 in un’altra inchiesta. “Anche dietro Mazza c’è Mario”, diceva ancora il figlio dell’ imprenditore nell’intercettazione dell’agosto 2015, facendo sempre riferimento a Mantovani e al sindaco di Seregno. E ancora: “Se Mario decide oh domani mattina decide tu sei finito (…) Mario c’ha una potenza indescrivibile“. “Mario Mantovani è un mio amico” diceva Lugarà intercettato il 28 ottobre 2015. “Mantovani a Seregno è venuto soltanto per Lugarà non per Mazza”, diceva invece il consigliere comunale Gatti all’imprenditore che ribatteva: “Ma io lo dichiaro ancora oggi. Mario Mantovani è un mio amico”.
Inchiesta di due procure: dalla mafia alla corruzione
In tutto sono 27 le misure cautelari – 21 delle quali in carcere, tre ai domiciliari e tre sospensioni dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio – firmate dai gip di Monza e Milano Pierangela Renda e Marco Del Vecchio e eseguite dai carabinieri del Comando provinciale di Milano. Le accuse sono, a vario titolo, associazione di tipo mafioso, estorsione, detenzione e porto abusivo di armi, lesioni, danneggiamento (tutti aggravati dal metodo mafioso), associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, corruzione per un atto d’ufficio, abuso d’ufficio, rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio e favoreggiamento personale.
L’inchiesta, coordinata dalla Procura di Monza e dalla Procura di Milano, porta la firma dei pm monzesi Salvatore Bellomo, Giulia Rizzo e del Procuratore di Monza Luisa Zanetti e dei pm della Dda Alessandra Dolci, Sara Ombra e dell’aggiunto Ilda Boccassini ed è una costola dell‘indagine “Infinito”, che nel 2010 aveva inferto un duro colpo alle Locali ‘ndranghetiste in Lombardia. È iniziata dagli approfondimenti avviati nel 2015 dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Milano sui summit di ‘ndrangheta tenutisi a Legnano (Milano) e a Paderno Dugnano (Milano). L’investigazione ha consentito di identificare gli elementi di vertice della locale di Limbiate (Monza e Brianza) e di individuare un sodalizio dedito al traffico di cocaina, con base nel comasco, composto prevalentemente da soggetti originari di San Luca (Reggio Calabria), legati a cosche di ‘ndrangheta di notevole spessore criminale.
Il rinfresco elettorale di Mazza nel bar in odor di ‘ndrangheta
Nel maggio 2015, in piena campagna per le amministrative, Mazza aveva offerto un rinfresco elettorale al bar “Tripodi pane & caffè” di Antonino Tripodi, che nel 2010 era stato arrestato nell’inchiesta Infinito, accusato anche di associazione mafiosa. Questa imputazione era caduta, ma non quella per detenzione di armi. Che gli era fruttata una condanna definitiva comminata dalla Corte di Cassazione. Di fatto, stando alle indagini, era l’armiere dei boss. Nel 2016 il Comune ha revocato la licenza al bar Tripodi “per pericolo di infiltrazione mafiosa”. All’evento del maggio 2015, comunque, accanto a Mazza sedeva proprio Lugarà, che nel 1989 fu oggetto insieme ai due fratelli di un agguato a colpi di pistola nell’ambito di quella che secondo gli investigatori era una guerra per aggiudicarsi appalti.
L’intercettazione: “Ogni promessa è debito, no?”
Dall’indagine “è emerso un totale asservimento del sindaco di Seregno nei confronti dell’imprenditore indagato” dice il pm di Monza Salvatore Bellomo. Per il pubblico ministero i tratta di un “vicendevole connubio: io ti procuro voti e in cambio te mi garantisci ciò che serve ai miei interessi“. In un’intercettazione emerge il legame tra Mazza e Lugarà considerato vicino alla ‘Ndrangheta e i cui voti – secondo l’accusa degli inquirenti – decretano il successo elettorale del primo cittadino eletto nelle fila di Forza Italia. Il 30 luglio 2015, in una conversazione telefonica ascoltata dai carabinieri che hanno lavorato alla duplice inchiesta della procura di Monza e della Dda di Milano, ci sarebbe “la svolta positiva (ovvero la adozione)” di quanto voluto dall’imprenditore nella pratica riguardante l’area ex dell’Orto. “Ogni promessa è debito no?“, dice il sindaco all’imprenditore che replica “eh non avevo dubbi”. “Mm non devi arrabbiarti”, dice il sindaco e aggiunge “No tranquillo fatto…tutto a posto” e Lugarà ringrazia.
“Vogliamo mettere in piedi San Luca a Milano”
Una guerra in cui la mentalità da criminali organizzati era ben radicata: “Vogliono mettere in piedi San Luca (…) San Luca a Milano … al nord” diceva uno. Il riferimento è a San Luca, piccolo comune in provincia di Reggio Calabria, noto per una faida delle cosche in relazione ad un grosso traffico di cocaina nel Comasco. In altre telefonate captate dagli investigatori i presunti affiliati alla ‘ndrangheta parlavano anche di “mitra” e “kalashnikov“. Nell’inchiesta, tra l’altro, sono coinvolti anche altri due politici locali di Seregno: un consigliere comunale è stato posto agli arresti domiciliari, mentre per un assessore, Gianfranco Ciafrone, è stata disposta l’interdizione dai pubblici uffici.
Individuata e arrestata anche una talpa
Come in ogni inchiesta importante è stata individuata una talpa. Un dipendente dell’ufficio affari semplici della Procura di Monza è stato arrestato. “Attraverso le sue credenziali accedeva alla nostra banca dati e rispondeva alle domande dell’imprenditore di Seregno indagato – ha spiegato il procuratore della Repubblica di Monza Luisa Zanetti – viene ascoltato mentre elenca gli indagati davanti alla nostra schermata, poi abbiamo una fotografia che inquadra l’imprenditore con il nostro dipendente”. Il procuratore poi ha aggiunto: “Giuseppe Carello, ai domiciliari, ha violato la fiducia del procuratore e del personale giudiziario ed amministrativo che sono totalmente estranei ai fatto. Ha violato il giuramento alle istituzioni”.
Il governatore lombardo Roberto Maroni ha commentato dicendo che “la ‘ndrangheta è l’associazione mafiosa più pericolosa perché si insinua nel tessuto economico e ha rapporti con le istituzioni” e “chi rappresenta il popolo nelle istituzioni deve ovviamente stare lontano e rifiutare ogni rapporto con queste persone. Se poi qualcuno ci casca, è giusto che venga estromesso immediatamente dalla politica alle istituzioni”.