E’ come se i balconi di Barcellona raccontassero storie o appartenenze. Non c’è facciata che non abbia bandiere legate alle ringhiere, a un piano la senyera, le quattro strisce rosse orizzontali su fondo giallo, riconosciuta come bandiera ufficiale dallo Statuto autonomo catalano. Ad un altro piano il vessillo più in voga, la estelada (il drappo ufficiale con la variante della estel, la stella racchiusa in un triangolo blu che richiama la bandiera cubana), divenuta il simbolo dell’indipendentismo e dell’ipotetica Repubblica catalana.
Altri balconi sono fasciati dalla estelada con stella rossa nel triangolo ocra, vessillo che apparve in ambienti di sinistra degli anni 70, ora inserito nel logo della Cup, il movimento anticapitalista protagonista del nuovo indipendentismo. Sono loro ad aver forzato gli alleati, Esquerra republicana e Convergència, ad approvare la legge di “desconexión”, la formale separazione da Madrid. Qualcuno, più intrepido, esibisce la bandiera spagnola, spesso accompagnata dal vessillo ufficiale della Catalogna, come a voler dare un segnale di tolleranza verso tutte le identità.
Alzando lo sguardo sui balconi di Barcellona si percepisce la tensione sociale oggi presente in Spagna.
Una comunità divisa, vicina alla disgregazione, in Catalogna dilaga la ispanofobia, nel resto del paese fa da contraltare una certa catalanofobia, quella che, secondo la potente confindustria regionale, potrebbe portare al temuto boicottaggio dei prodotti catalani.
In questa fase in Spagna la vera sconfitta è la moderazione. Tutto è esasperato, leggi di rottura, palesemente incostituzionali, approvate quasi di nascosto nelle ore notturne, convocazioni referendarie contrarie alla norma fondamentale – un recente sondaggio di Metroscopia segnala che il 61% dei catalani è consapevole dell’illegalità del referendum – schede stampate clandestinamente, voci di bilancio ‘mascherate’ per celare le spese elettorali.
Lo stato centrale, da parte sua, risponde solo con dichiarazioni di incostituzionalità o per decreto, limitando i poteri di autonomia della polizia regionale, i Mossos d’esquadra – ora messi sotto la guida della Guardia civil – o della locale agenzia tributaria.
E’ in queste settimane che si è fatta più chiara l’insipienza di Mariano Rajoy, il premier conservatore, di fronte al crescente sentimento indipendentista. Non una strategia, non una linea politica condivisa per affrontare le questioni nazionaliste interne, vera spina nel fianco per le istituzioni centrali. Madrid ha innalzato solo barriere, appoggiandosi sulla stampella di un richiamo astratto alle regole costituzionali. Il capo dell’esecutivo non ha saputo leggere la realtà, non ha voluto vedere i segnali di frustrazione che arrivavano dalle terre catalane già nel 2010, dopo la pronuncia di incostituzionalità della riforma dell’Estatut.
Miopia che ha alimentato le posizioni più estreme le quali individuano nella soluzione separatista l’unico percorso per la libertà. La rappresentazione che la Spagna dà di sé al mondo è l’immagine di un paese socialmente lacerato, con istituzioni che invocano, a corrente alternata e sempre secondo convenienza, lo Stato di diritto. Un paese nel quale tutto è strumentalizzato in chiave elettorale, Rajoy con la prospettiva di portare all’incasso la fobia verso i catalani, gli indipendentisti con la certezza di veder crescere i propri consensi mettendo l’accento sulle politiche repressive, già subite in epoca franchista.
I simboli lasciati sventolare sui balconi raccontano storie, alcune bandiere portate diffusamente nelle piazze, come il vessillo nazionale scozzese o il drappo dell’Europa unita, svelano inganni. Nessun politico separatista spiega che la Scozia è arrivata sì al referendum sull’indipendenza, ma con preventivo accordo con il governo di Londra. Nessun dirigente della Cup o di “Esquerra republicana” chiarisce che l’Unione europea, al di là del probabile veto spagnolo, non potrebbe incorporare uno Stato nato da una consultazione illegale.
Mancano gli statisti, probabilmente mancheranno anche dopo l’1 ottobre, quando insipienze da un lato e fanatismi dall’altro, continueranno a scavare un solco ancora più profondo tra Barcellona e Madrid.