Ci risiamo. Ecco un nuovo scandalo che coinvolge l’Università italiana. Non è la prima volta che succede e probabilmente non sarà neppure l’ultima. La notizia viene da Firenze, dove il tentativo di far ritirare la candidatura a un ricercatore fiorentino è finito sotto i riflettori della Guardia di Finanza costituendo l’elemento iniziale di un’inchiesta molto più ampia. La cronaca parla di sette docenti universitari arrestati per reati corruttivi e di altri 22 che sono stati colpiti dalla misura dell’interdizione dalle funzioni di professore universitario e da quelle connesse ad ogni altro incarico accademico per la durata di 12 mesi.
Insomma, nessuna meraviglia, purtroppo, anche se in questa occasione c’è una novità. In ballo non c’era un posto da ricercatore, oppure da professore di prima o da seconda fascia. Insomma non si decideva del futuro certo. In palio non c’era la sicurezza economica e di poter svolgere ricerca senza patemi d’animo, ma l’idoneità per l’Abilitazione scientifica nazionale all’insegnamento nel settore del “diritto tributario”. Già, l’Abilitazione scientifica nazionale, introdotta dalla Legge Gelmini del dicembre 2010, ovvero le forche caudine che è necessario passare se si vuole partecipare a qualsiasi concorso universitario, oppure ambire ad essere chiamati a insegnare in qualche Università. Abilitazione che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto eliminare le ataviche opacità rilevate nelle operazioni di selezione dei candidati. Quanto questo auspicio non si sia realizzato lo confermano i diversi scandali di questi anni e, ora, il caso del ricercatore anglo-fiorentino.
Secondo modalità di uso così comune nei diversi concorsi da farsi quasi regola, il malcapitato avrebbe dovuto “ritirare” la propria domanda, per favorire un collega in possesso di un profilo curriculare notevolmente inferiore. In cambio allo studioso sarebbe stato promesso che gli attuali indagati si sarebbero adoperati con la competente Commissione giudicatrice per la sua abilitazione in una successiva tornata. Naturalmente, si è trattato soltanto di una indicazione. Diciamo così, un consiglio. Nulla di vincolante, per carità. Rimane il fatto che non seguire il suggerimento “del professore” avrebbe significato non avere alcuna possibilità di risultare idoneo nell’Abilitazione in corso e neppure nelle successive. L’Università ha le sue regole. L’autonomia di pensiero non paga. L’ambizione di farcela con le proprie forze, solo contando sulla corposità del curriculum, destinata a collassare.
Nell’eterno dibattito sui mali dell’Università sono in molti a sostenere che la colpa sia degli esigui fondi a disposizione. Con un budget meno striminzito non solo la ricerca ne beneficerebbe, ma anche la struttura. Confesso che continuo ad avere difficoltà nel comprendere che relazione possa esserci tra fondi a disposizione e reclutamento dei professori, ma forse non è poi così importante. Quello che invece non può dirsi trascurabile è che il sistema si segnali così frequentemente per “arrangiamenti”, “combine”. Operazioni di compravendita degne del calciomercato piuttosto che di luoghi nei quali si dovrebbero formare professionisti, selezionare ricercatori.
L’Università non ha bisogno di più soldi, ma di legalità. Di regole certe. Di competenza e di capacità, ma nella ricerca, non nell’intessere relazioni personali. Finché i concorsi si decideranno negli studi di Dipartimento, finché la scelta dei candidati avverrà in nome di spartizioni corporitivistiche, l’Università rimarrà un luogo di disuguaglianze. Di soprusi legalizzati. Un luogo per troppi respingente.
Ad aprile 2016 al ritorno dal viaggio negli Stati Uniti, Matteo Renzi da premier, affrontando il tema dei cervelli in fuga, parlava di una “retorica trita e ritrita” dalla quale “è importante uscire”. A contraddirlo i numeri, come spesso accade. Anche per questo, da uno scandalo all’altro, l’Università naufraga.
Manlio Lilli
Archeologo e giornalista
Giustizia & Impunità - 26 Settembre 2017
Università, la selezione dei professori tra combine e voto di scambio
Ci risiamo. Ecco un nuovo scandalo che coinvolge l’Università italiana. Non è la prima volta che succede e probabilmente non sarà neppure l’ultima. La notizia viene da Firenze, dove il tentativo di far ritirare la candidatura a un ricercatore fiorentino è finito sotto i riflettori della Guardia di Finanza costituendo l’elemento iniziale di un’inchiesta molto più ampia. La cronaca parla di sette docenti universitari arrestati per reati corruttivi e di altri 22 che sono stati colpiti dalla misura dell’interdizione dalle funzioni di professore universitario e da quelle connesse ad ogni altro incarico accademico per la durata di 12 mesi.
Insomma, nessuna meraviglia, purtroppo, anche se in questa occasione c’è una novità. In ballo non c’era un posto da ricercatore, oppure da professore di prima o da seconda fascia. Insomma non si decideva del futuro certo. In palio non c’era la sicurezza economica e di poter svolgere ricerca senza patemi d’animo, ma l’idoneità per l’Abilitazione scientifica nazionale all’insegnamento nel settore del “diritto tributario”. Già, l’Abilitazione scientifica nazionale, introdotta dalla Legge Gelmini del dicembre 2010, ovvero le forche caudine che è necessario passare se si vuole partecipare a qualsiasi concorso universitario, oppure ambire ad essere chiamati a insegnare in qualche Università. Abilitazione che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto eliminare le ataviche opacità rilevate nelle operazioni di selezione dei candidati. Quanto questo auspicio non si sia realizzato lo confermano i diversi scandali di questi anni e, ora, il caso del ricercatore anglo-fiorentino.
Secondo modalità di uso così comune nei diversi concorsi da farsi quasi regola, il malcapitato avrebbe dovuto “ritirare” la propria domanda, per favorire un collega in possesso di un profilo curriculare notevolmente inferiore. In cambio allo studioso sarebbe stato promesso che gli attuali indagati si sarebbero adoperati con la competente Commissione giudicatrice per la sua abilitazione in una successiva tornata. Naturalmente, si è trattato soltanto di una indicazione. Diciamo così, un consiglio. Nulla di vincolante, per carità. Rimane il fatto che non seguire il suggerimento “del professore” avrebbe significato non avere alcuna possibilità di risultare idoneo nell’Abilitazione in corso e neppure nelle successive. L’Università ha le sue regole. L’autonomia di pensiero non paga. L’ambizione di farcela con le proprie forze, solo contando sulla corposità del curriculum, destinata a collassare.
Nell’eterno dibattito sui mali dell’Università sono in molti a sostenere che la colpa sia degli esigui fondi a disposizione. Con un budget meno striminzito non solo la ricerca ne beneficerebbe, ma anche la struttura. Confesso che continuo ad avere difficoltà nel comprendere che relazione possa esserci tra fondi a disposizione e reclutamento dei professori, ma forse non è poi così importante. Quello che invece non può dirsi trascurabile è che il sistema si segnali così frequentemente per “arrangiamenti”, “combine”. Operazioni di compravendita degne del calciomercato piuttosto che di luoghi nei quali si dovrebbero formare professionisti, selezionare ricercatori.
L’Università non ha bisogno di più soldi, ma di legalità. Di regole certe. Di competenza e di capacità, ma nella ricerca, non nell’intessere relazioni personali. Finché i concorsi si decideranno negli studi di Dipartimento, finché la scelta dei candidati avverrà in nome di spartizioni corporitivistiche, l’Università rimarrà un luogo di disuguaglianze. Di soprusi legalizzati. Un luogo per troppi respingente.
Ad aprile 2016 al ritorno dal viaggio negli Stati Uniti, Matteo Renzi da premier, affrontando il tema dei cervelli in fuga, parlava di una “retorica trita e ritrita” dalla quale “è importante uscire”. A contraddirlo i numeri, come spesso accade. Anche per questo, da uno scandalo all’altro, l’Università naufraga.
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Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Gli attacchi aerei non scoraggeranno i ribelli yemeniti, i quali risponderanno agli Stati Uniti. Lo ha scritto sui social Nasruddin Amer, vice capo dell'ufficio stampa degli Houthi, aggiungendo che "Sana'a rimarrà lo scudo e il sostegno di Gaza e non la abbandonerà, indipendentemente dalle sfide".
"Questa aggressione non passerà senza una risposta e le nostre forze armate yemenite sono pienamente pronte ad affrontare l'escalation con l'escalation", ha affermato l'ufficio politico dei ribelli in una dichiarazione alla televisione Al-Masirah.
In un'altra dichiarazione citata da Ynet, un funzionario Houthi si è rivolto direttamente a Trump e a Netanyahu, che "stanno scavando tombe per i sionisti. Iniziate a preoccuparvi per le vostre teste".
Damasco, 15 mar. (Adnkronos) - L'esplosione avvenuta nella città costiera siriana di Latakia ha ucciso almeno otto persone. Lo ha riferito l'agenzia di stampa statale Sana, secondo cui, tra le vittime della detonazione di un ordigno inesploso, avvenuta in un negozio all'interno di un edificio di quattro piani, ci sono tre bambini e una donna. "Quattordici civili sono rimasti feriti, tra cui quattro bambini", ha aggiunto l'agenzia.
Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Almeno nove civili sono stati uccisi e nove feriti negli attacchi statunitensi su Sanaa, nello Yemen. Lo ha dichiarato un portavoce del ministero della Salute guidato dagli Houthi su X.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Sono lieto di informarvi che il generale Keith Kellogg è stato nominato inviato speciale in Ucraina. Il generale Kellogg, un esperto militare molto stimato, tratterà direttamente con il presidente Zelensky e la leadership ucraina. Li conosce bene e hanno un ottimo rapporto di lavoro. Congratulazioni al generale Kellogg!". Lo ha annunciato su Truth il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Oggi ho ordinato all'esercito degli Stati Uniti di lanciare un'azione militare decisa e potente contro i terroristi Houthi nello Yemen. Hanno condotto una campagna implacabile di pirateria, violenza e terrorismo contro navi, aerei e droni americani e di altri paesi". Lo ha annunciato il presidente americano Donald Trump su Truth. Senza risparmiare una stoccata all'ex inquilino della Casa Bianca, il tycoon aggiunge nel suo post che "la risposta di Joe Biden è stata pateticamente debole, quindi gli Houthi sfrenati hanno continuato ad andare avanti".
"È passato più di un anno - prosegue Trump - da quando una nave commerciale battente bandiera statunitense ha navigato in sicurezza attraverso il Canale di Suez, il Mar Rosso o il Golfo di Aden. L'ultima nave da guerra americana ad attraversare il Mar Rosso, quattro mesi fa, è stata attaccata dagli Houthi più di una decina di volte. Finanziati dall'Iran, i criminali Houthi hanno lanciato missili contro gli aerei statunitensi e hanno preso di mira le nostre truppe e i nostri alleati. Questi assalti implacabili sono costati agli Stati Uniti e all'economia mondiale molti miliardi di dollari, mettendo allo stesso tempo a rischio vite innocenti".
"L'attacco degli Houthi alle navi americane non sarà tollerato - conclude Trump - Utilizzeremo una forza letale schiacciante finché non avremo raggiunto il nostro obiettivo. Gli Houthi hanno soffocato le spedizioni in una delle più importanti vie marittime del mondo, bloccando vaste fasce del commercio globale e attaccando il principio fondamentale della libertà di navigazione da cui dipendono il commercio e gli scambi internazionali. I nostri coraggiosi Warfighters stanno in questo momento portando avanti attacchi aerei contro le basi, i leader e le difese missilistiche dei terroristi per proteggere le risorse navali, aeree e di spedizione americane e per ripristinare la libertà di navigazione. Nessuna forza terroristica impedirà alle navi commerciali e navali americane di navigare liberamente sulle vie d'acqua del mondo".
Whasington, 15 mar. (Adnkronos) - Funzionari statunitensi hanno affermato che gli attacchi aerei contro l'arsenale degli Houthi, gran parte del quale è sepolto in profondità nel sottosuolo, potrebbero durare diversi giorni, intensificandosi in portata e scala a seconda della reazione dei militanti. Lo scrive il New York Times. Le agenzie di intelligence statunitensi hanno lottato in passato per identificare e localizzare i sistemi d'arma degli Houthi, che i ribelli producono in fabbriche sotterranee e contrabbandano dall'Iran.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - Funzionari statunitensi hanno detto al New York Times che il bombardamento su larga scala contro decine di obiettivi nello Yemen controllato dagli Houthi - l'azione militare più significativa del secondo mandato di Donald Trump - ha anche lo scopo di inviare un segnale di avvertimento all'Iran. Il presidente americano - scrive il quotidiano Usa- vuole mediare un accordo con Teheran per impedirgli di acquisire un'arma nucleare, ma ha lasciato aperta la possibilità di un'azione militare se gli iraniani respingono i negoziati.